ITINERARI EXTRAURBANI

Gabbro: i mulini del botro Sanguigna
il mulino di cima, di mezzo ed il mulino di Bucafonda



 

I mulini della Sanguigna costituiscono il principale percorso molitorio della Toscana. Oltre a quelli qui illustrati esisteva a monte, il mulino dei "Casini" al Diacciarello ed a valle il mulino della "Pieve di Camaiano", quello di "Pane e vino o della Villa" e del "Chiappino o del Piccassi" per un totale di sette impianti ad acqua e due a vento.

"Quando senti il mugnaio che canta è allora che ti ruba la farina; quando senti che non canta più è allora che la porta su"
 
Fin dal Medioevo, il mugnaio ricopre infatti nell’immaginario collettivo un ruolo ambiguo. Da un lato è rispettato e temuto, perché è capace di imbrigliare le forze della natura e convogliarle a produrre l’elemento base dell’alimentazione umana. Dall’altro la tentazione cui è sottoposto nell’avere in suo controllo un passaggio tanto cruciale lo trasforma facilmente in ladro: è dunque per punirlo che a volte le forze divine gli si rivoltano contro. La figura del mugnaio ladro diviene ben presto uno stereotipo della letteratura europea.
Nell'area comunale restano testimonianze archeologiche di 12 mulini idraulici. Si tratta di ruderi di edifici che ospitavano locali di lavorazione e/o abitazione del mugnaio, componenti dell'impianto idraulico (serre, gore, bottacci, ecc.), macine in pietra; in tutti siti, le parti lignee sono andate completamente perdute. Solo due mulini, quello di Bucafonda al Gabbro  e quello del Fine a Rosignano, erano a "ruota verticale", tutti gli altri avevano la "ritrecine", ovvero la ruota orizzontale. Visitiamo i mulini del Gabbro. Da via delle Capanne prendere la strada a destra indicata con "Impianti sportivi" arrivando subito dopo al parcheggio del campo sportivo. Lasciata l'auto dobbiamo imboccare, una stretta strada asfaltata in leggera discesa che conduce all'impianto di depurazione del paese. Fatti pochi metri, troviamo un bel pannello informativo che illustra lo schema della lavorazione e le principali informazioni sul complesso molitorio. Prendiamo subito dopo il sentiero che sia apre nel bosco (sulla destra) e scendiamo verso il Sanguigna. Dopo pochi minuti, fra le chiome degli alberi, già s'intravedono i resti del Mulino di Cima e, poco più a valle, ma più difficilmente accessibili a causa della vegetazione invadente, quelli del Mulino di Mezzo. Dopo la visita torniamo indietro e riprendiamo per circa 250m la strada asfaltata in direzione del depuratore. Un cartello segnaletico con la dicitura MULINO ci manda a destra su un nuovo sentiero che entra nel bosco; ci porterà, dopo una breve discesa, di nuovo al Sanguigna. Dovremo attraversarlo a guado su alcune pietre, proprio in prossimità dell'antica serra e subito avremo davanti la gora del mulino. Facendo molta attenzione ai dislivelli ed ai pericoli di crollo (allo stato, la sicurezza del sito è carente), possiamo iniziare la visita di un posto suggestivo, oggi silenzioso e abbandonato, ma un tempo rumoroso e pieno di vita, dove era un continuo andirivieni di persone e animali (buoi, asini, cavalli e barrocci) con i loro carichi di grani e farine, il mulino di Bucafonda. Una epigrafe, ora scomparsa recitava
«Era antico già nel 1862». Conviene ammirare anche l'ambiente circostante, il bosco innanzi tutto, che vede il pino marittimo (usato, in passato, nei rimboschimenti della zona) resistere tenacemente al ritorno della macchia mediterranea. Nello spazio di pochi metri, con l'avvicinarsi al botro, le conifere sono rapidamente sostituite da sughere e da maestose piante di alloro, segno inequivocabile che il livello di umidità sta aumentando, mentre nel sottobosco sono abbondanti l'edera, il pungitopo ed il ciclamino. Nei mesi caldi, l'equiseto e le grandi foglie del farfaraccio invadono il letto del Sanguigna. Ma è l'acqua la risorsa ambientale che, più di ogni altra, è legata alla storia e all'ecologia del botro. L'ecosistema fluviale in oggetto, proprio nella zona dei mulini, ha rivelato la presenza di Coleotteri acquatici di particolare interesse scientifico. In questo tratto, la qualità delle acque correnti e, più in generale, lo stato ecologico del botro risultano buoni, meno buoni invece a valle dell'impianto di depurazione del paese.

Video mulino di cima Video mulino di Bucafonda
Video tratti da: "I segni storici del paesaggio rurale" di R. Branchetti e A. Guidi, per gentile concessione.


Mulino di cima (dotazione: due macine affiancate, a ritrecine)
 

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 Mulino di cima Mulino di cima dal muro della gora  Il muraglione della gora
La gora con la vegetazione Una macina del mulino
  Il carcerario con la ritrecine

Mulino di mezzo

(dotazione: una macina a ritrecine)

La serra costruita su una cascata   La gora
mezzo_sottana.jpg (67628 byte) Mulino di Bucafonda

(Due edifici distinti, il principale con due macine sulla ruota verticale ed una macina a ritrecine. Subito a valle un altro mulinetto di ripresa con una ritrecine)

Il carcerario della ritrecine
Una macina di pietra "alberese"
Il mulino 
 
La storia
 L'interno 

Testimonianze
Descrizione
La gora

La tassa sul macinato
La bocca di alimentazione della ruota verticale
Il borgonaio o alloggio ruota verticale
Immagini di ruote verticali, ritrecine e macine simili a quelle usate al Gabbro
(da Internet)
Il carcerario del mulinetto di ripresa Una macina del mulinetto di ripresa
  Mulini a ruota simili al Bucafonda
Carcerario con ritrecine installata
  Ruote a ritrecine Tramogge di carico cereali e macine simili a quelle di Gabbro
Un mulino dimostrativo in funzione Modellino di macina a ritrecine Il locale del mugnaio

Piccolo glossario dei mulini:
 

- aldio: condotto di alimentazione della gora collegato alla serra
- borgonaio: fossa dove era alloggiata la ruota verticale del mulino
- carcerario: locale dove è alloggiata la ritrecine cioè la ruota orizzontale motrice del mulino
- gora: bacino di alimentazione delle ruote motrici del mulino (anche bottaccio)
- palmento: coppia di macine che lavorano in uno stesso edificio e con l'acqua di una stessa gora.
- ritrecine: la ruota alettata che spinta dall'acqua della gora, aziona la macina superiore del palmento
- serra: paratia a stramazzo costruita sul corso d'acqua per sollevarne il livello e farla arrivare alla gora
- soprana: la macina superiore del palmento di solito girevole perchè collegata alla ritrecine
- sottana: la macina inferiore del palmento, di solito fissa.

Lo stretto rapporto che legava l'antica industria molitoria con l'ambiente, attribuisce ai mulini idraulici e a quelli eolici un ruolo importante nel processo di rilettura e di comprensione della storia di un territorio. I mulini idraulici ed eolici, per la loro importanza sociale ed economica, hanno costituito fin dall'antichità un elemento propulsivo delle società preindustriali, un esempio dell'ingegno umano applicato alla tecnologia dell'acqua e del vento. Nel Livornese niente di vivo rimane dell'arte molitoria tradizionale. Ciò che resta è costituito da strutture in precario stato di conservazione, il cui destino appare inesorabilmente segnato. Eppure il valore testamentario che questi manufatti superstiti conservano è grande; essi definiscono infatti, insieme ai vecchi edifici colonici ed ai percorsi di collegamento, l'identità storico-architettonica dell'area.
E'
soprattutto a partire dal secolo XVI che, nei registri fiscali dell'epoca (Estimi), compaiono riferimenti sistematici ad impianti molitori attestati su alcuni corsi d'acqua della zona: Botro Sanguigna, Botro dell'Acquabona, Botro della Fonte (oggi Goracci), Fiume Fine. Mulini idraulici sono rappresentati anche sulla cartografia sei-settecentesca raffigurante il territorio in esame. Dalla fine del secolo XVIII e per tutto l'Ottocento, i documenti estimali e catastali riportano anche le registrazioni di alcuni mulini a vento dei quali è ancora possibile osservare le vestigia sui colli di Rosignano, Collina Alta e Poggio d'Arco. Un'ulteriore documentazione al riguardo è costituita, per il periodo 1817-1867, dalle "Note della Tassa dei Mulini ed altri edifizi ad acqua situati in detta Comunità", veri e propri elenchi dove venivano registrati gli opifici idraulici e la relativa imposizione fiscale calcolata sul numero delle macine lavoranti. Il tessuto dei mulini, stratificatesi in questo territorio nell'arco di quasi un millennio, evidenzia un'attività produttiva particolare che si è sviluppata parallelamente alla crescita demografica dei borghi collinari di Rosignano, Castelnuovo della Misericordia e Gabbro ed allo sviluppo agricolo del territorio circostante. Più numerosi dei mulini eolici sono quelli idraulici. Questi ultimi, come risulta dalle testimonianze rinvenute, presentavano spiccate similitudini nelle caratteristiche costruttive e si componevano di edifici isolati, ubicati quasi sempre al margine di un corso d'acqua. In genere si trattava di opifici di limitata capacità produttiva, in grado di soddisfare soltanto necessità locali, legate ai fabbisogni di farina del podere, dell'osteria o del borgo. Esistevano, tuttavia, anche impianti plurimi, costituiti da più mulini collegati in serie dove il "principale" era quello situato a monte mentre l'altro, più in basso, era chiamato ripresa e funzionava con l'acqua di "rifiuto" del mulino principale. Questo sistema, che faceva maggior tesoro degli scarsi volumi d'acqua disponibile (soprattutto in estate) e ne ricavava uno sfruttamento energetico superiore, venne utilizzata in molti impianti del comprensorio, ad es. Mulini di Bucafonda, Chiappino, Acquabona e Fortulla.
Mentre i grandi mulini a "ruota verticale", distribuiti lungo i principali corsi d'acqua della Toscana, erano in grado di muovere più macine e fornire quindi una maggiore produzione di farina, quelli del territorio livornese, a "ritrecine"  ovvero a "ruota orizzontale" (a trasmissione diretta), possedevano solo uno o due palmenti (vedi glossario); di conseguenza la loro capacità produttiva risultava di gran lunga inferiore ai precedenti. Solo nell'Ottocento, con la diffusione di nuovi sistemi di trasmissione a cinghia e ad ingranaggi, fu possibile azionare, grazie anche a ruote idrauliche più moderne ed efficienti (turbine), diverse macine contemporaneamente (Mulino del Chiappino). Nella seconda metà del secolo e fino ai primi del Novecento si sostituì, dove possibile, la forza motrice dell'acqua con il vapore, risolvendo in parte l'annoso problema del deficit idrico stagionale. Infatti, per funzionare, aveva bisogno di un volume idrico notevolmente minore rispetto ad una ruota idraulica. Subentrò poi il motore a scoppio ed infine quello elettrico che decretò la definitiva chiusura (anni '40-'50 del Novecento) degli ultimi mulini ad acqua ancora attivi nel Comune di Rosignano (Mulini della Fine, Chiappino e Bucafonda). Anche i mugnai, così come stavano facendo i contadini con i poderi, lasciarono i loro antichi opifici dispersi nelle campagne e per i boschi e si spostarono in paese dove il mulino elettrico offriva una serie di vantaggi facilmente immaginabili.

I proprietari dei mulini. In epoca medioevale, la realizzazione di un mulino idraulico richiedeva condizioni particolari: non soltanto era necessario disporre del luogo, ma occorreva averne anche il controllo giuridico. Inoltre si dovevano sostenere le spese di costruzione e le eventuali riparazioni. Tutto ciò faceva sì che la sua edificazione fosse "privilegio" esclusivo di Signori o di ecclesiastici, i soli in grado di poter esercitare, per questi fini, il diritto d'uso di un corso d'acqua e di sostenere i notevoli costi. Affinchè l'investimento risultasse vantaggioso, era necessario che la quantità di grani da macinare fosse sufficientemente grande da rendere un buon profitto. Tra le rendite ricavate dal mulino figuravano, inoltre, le tasse che gli abitanti del contado (contadini) dovevano pagare sul grano macinato. La macina di proprietà personale non era tollerata ed il contadino era obbligato a portare il proprio grano al mulino del Signore o del Comune.

Durante l'Età Moderna la maggior parte dei mulini compresi nelle Comunità di Rosignano, Castelnuovo della Misericordia e Gabbro, rientrava nei grandi possedimenti fondiari di facoltose famiglie locali o di Enti morali (Pia Casa della Misericordia di Pisa) e religiosi (Mensa Arcivescovile Pisana) che provvedevano a dare in affitto o a livello gli opifici a mugnai della zona. Lo stesso Mulino del Comune, nel 1544, era stato dato per nove anni ad un certo Simone D'Ambruogio "con il patto della riaccomodatura a spese dell'affittuario e per un canone di 40 staia di grano" Le famiglie più in vista del paese proprietarie di mulini furono: per l'area del Gabbro i Dal Matto, i Casini, i Cartoni e i Finocchietti; mentre nell'area di Castelnuovo della Misericordia la proprietà di terre e mulini era concentrata nelle mani della Pia Casa della Misericordia.

Nei primi decenni dell'Ottocento, grazie agli effetti della politica riformista avviata dai Lorena a favore dell'agricoltura, si verificò una profonda riorganizzazione del territorio rurale delle tre comunità e le campagne cominciarono rapidamente a popolarsi. Il crescente fabbisogno di farine, indispensabili per soddisfare la necessità di una maggiore quantità di pane (elemento base dell'alimentazione del tempo), indusse la classe imprenditoriale dell'epoca - costituita ancora dalla nobiltà agraria locale, ma anche dalla nascente borghesia professionale - ad investire nella costruzione di nuovi impianti molitori e nel potenziamento di quelli esistenti. Un forte impulso, in tal senso, si ebbe anche nel periodo napoleonico, quando la Guerra Generale motivata dalla Rivoluzione Francese e le carestie fecero salire alle stelle i prezzi dei cereali, favorendo le rendite dei mulini.

I siti di localizzazione. Erano preferiti, lungo l'asse fluviale, i luoghi con un salto di cascata naturale, in modo da assicurare una maggiore spinta dell'acqua che, per caduta, andava a sbattere contro le pale della ritrecine. A questo scopo, era necessario che il dislivello minimo fra il pelo libero dell'acqua nella gora ed il piano del torrente fosse di almeno 3-4 m. Dove le condizioni morfologiche del sito si presentavano pianeggianti si era costretti ad aumentare l'altezza della serra, la lunghezza dell'aldio e l'ampiezza della gora, con evidente aggravio dei costi di realizzo. Queste differenze costruttive sono ben evidenti nelle due tipologie di mulini presenti nel territorio di Rosignano: gli opifici di pianura (M. del Chiappino, M. del Fine) e di altura (M.ni del Gabbro sul Sanguigna). Una volta individuato il corso d'acqua più idoneo, la scelta si spostava sul luogo che meglio rispondesse ai requisiti di comodità dei potenziali clienti (in genere contadini), che, dovendo portare "grano e biade" a macinare, avrebbero conseguito "risparmio di tempo e di bestie". Troviamo, quindi, i mulini, ubicati lungo una viabilità quasi sempre carrabile o comunque somabile; vicini alle osterie (M. dell'Acquabona; M. del Riposo) o ai centri di ristoro (M. di Pane e Vino), ma anche alle dipendenze di poderi (M. di Chioma attinente al podere del Capannino) o fattorie (M. del Fortulla attinente alla fattoria di Campolecciano). I mulini, espletando un servizio indispensabile alla popolazione - e cioè l'approvvigionamento di farine -, avevano un rapporto molto vario con lo spazio rurale e urbano: a Rosignano per esempio, dove i residenti (ai primi dell'Ottocento) vivevano soprattutto in "Castello", i mulini erano ubicati sul vicino Botro della Fonte, mentre a Castelnuovo, dove la popolazione abitava prevalentemente nelle case sparse intorno al borgo, i mulini si trovavano nella "campagna" circostante (M. del Chiappino, M. di Pane e Vino). Nei pressi del Gabbro avevamo gli opifici dell'Alta Valle del Sanguigna, con funzioni produttive rivolte non solo agli abitanti del paese ma anche alla popolazione di Nibbiaia.

Il mulino ad acqua. La struttura d'insieme di un mulino idraulico si componeva di quattro sezioni distinte:

1) l'edificio;

2) l'impianto idrico, costituito dalle opere d'imbrigliamento (prese), convogliamento (gore) ed accumulo delle acque (bottacci);

3) l'impianto di azionamento, costituito dai congegni atti a convertire l'energia dell'acqua in moto rotatorio;

4) l'impianto di macinazione, comprendente le macine e tutti gli accessori necessari per la trasformazione dei grani in farina.

Faceva parte dell'impianto di azionamento la ruota idraulica, nella sua versione "verticale" o "orizzontale", dalla quale dipendeva la tipologia del mulino.
Mulino a ruota orizzontale: in questo tipo di opificio la ruota (detta "ritrecine") era posta orizzontalmente al terreno ed alloggiava in un locale denominato "carcerario", ubicato nella parte inferiore dell'edificio. A monte del mulino l'acqua del torrente veniva deviata mediante una "serra" e fatta confluire in un "bottaccio o gora", da dove, in caduta, sbatteva nelle pale della ritrecine determinandone il movimento. Poiché la ruota era collegata mediante un albero alla macina superiore (detta "soprana"), quest'ultima faceva lo stesso numero di giri della ritrecine (rapporto 1:1), mentre la macina inferiore (detta "sottana") era fissa. La coppia di macine prendeva il nome di "palmento". Fra le due mole doveva rimanere un sottile spazio per la frantumazione dei grani e la loro trasformazione in farina ed altri derivati (crusca, semolino, etc.). La distanza fra le due mole, dalla quale dipendeva la qualità del macinato, era regolata direttamente dal mugnaio con un dispositivo a leva. L'immissione del grano avveniva dal foro centrale della macina, dove cadeva per gravita dalla soprastante tramoggia; la forza centrifuga espelleva la farina verso l'esterno del palmento, dove il mugnaio provvedeva a raccoglierla. Per facilitare la frantumazione dei semi e l'espulsione del macinato, il mugnaio praticava sulle mole, con appositi scalpelli e martelli, delle incisioni ("raggiature") che di frequente dovevano essere "ravvivate".

Mulino a ruota verticale: l'elemento che contraddistingueva questo mulino dal precedente era costituito dalla ruota verticale, disposta ortogonalmente rispetto al terreno. Un sistema di ingranaggi disposto a 90° permetteva di cambiare piano al movimento dell'asse della ruota, con evidenti vantaggi sulle capacità produttive dell'impianto. Il diverso diametro degli ingranaggi permetteva infatti di moltiplicare il numero dei giri dell'asse della ruota e, di conseguenza, la potenza dell'impianto. A parte questo accorgimento, il principio di funzionamento del mulino a ruota verticale era del tutto simile a quello di un mulino a ritrecine. (Da: "Strade di pietra, vie d'acqua e di vento" di Giuseppe Milanesi e  Roberto Branchetti) (Per saperne di più: "Antichi mulini del territorio livornese" scaricabile dal sito)

Saranno restaurati i mulini del Gabbro.
I mulini del Gabbro saranno recuperati e restaurati. Non solo quello di Bucafonda - dove è già stata avviata un'azione conservativa - ma anche quello di Cima. Nella frazione del Gabbro è infatti ampiamente documentata una tradizione molitoria che a partire dal Medioevo si è sviluppata fino all'immediato dopoguerra (secondo le fonti storiche, è nel 1946 che si è riscontrato l'ultimo anno di attività del mulino di Bucafonda) . I mulini idraulici, utilizzati per la macinazione del frumento, sono stati addirittura sette su tutto il territorio. Di questi, sei sono ancora oggi esistenti. Tutte queste strutture sono state ubicate in corrispondenza del torrente Sanguigna perché questo corso d'acqua è alimentato da sorgenti perenni e anche nelle estati più calde e siccitose presenta sempre acqua nel suo alveo. Per questo manufatti di questo genere rappresentano un'importante testimonianza di grande valore storico e culturale.Il Comune di Rosignano Marittimo quindi ha avviato un intervento finalizzato al loro recupero ed alla loro valorizzazione. Per il mulino di Bucafonda - l'unico a ruota dei Monti Livornesi - è già in corso un progetto di restauro conservativo mentre per il mulino di Cima è stato effettuato negli scorsi giorni un sondaggio geognostico finalizzato alla redazione di un progetto esecutivo di restauro e di ripristino funzionale, comprensivo anche della imponente gora la cui splendida struttura è ancora in buono stato di conservazione.
3 dicembre 2022 Il Tirreno

Il Botro della Sanguigna nasce dalle alture di Poggio D'Arco di Gabbro e dopo 6 km. diventa affluente di sinistra del Botro Riardo, a sua volta affluente del Savalano che finisce nel Fine (Per l'etimologia del nome vedi Castelnuovo/ieri)
ORGANIZZAZIONE:  Data la vicinanza al paese ed il percorso breve, è agevole la visita individuale od in piccole comitive. Occorre comunque attenzione allo stato pericolante dei fabbricati ed al camminamento lungo il torrente, meglio con scarpe impermeabili. Non consigliabile con bambini. Non risultano, se non eccezionalmente, escursioni organizzate fra le quali segnaliamo quelle dell'associazione ecologica AGIRE VERDE di Livorno, contattabile al n° 0586.801235 ore serali, oppure scrivendo a: agireverde@tin.it         

 Si ringrazia il prof. Roberto Branchetti del Gruppo Archeologico del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo sempre guida eccellente.

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