Costanzo Ciano - biografia    

Costanzo Ciano Bozzetto del monumento a Ciano pubblicato sul giornale locale (Arch. G. Luppichini) Il progetto del Monumento a Ciano La base a Monteburrone oggi La base a Monteburrone oggi. Accanto fu iniziata la costruzione dell'altissimo faro a forma di fascio littorio Il colonnato interno L'isola di S.Stefano con la cava di granito che conserva parte del monumento L'isola di S.Stefano con la posizione della cava dal satellite (Ricostruzione di  M. Orazio) La testa unica parte completata co la 'berretta cerata' tipica dei marinai Lo scultore Arturo Dazzi scelse questa pietra perchè 'compatta e di grande effetto statuario' La testa unica parte completata Valutare le notevoli dimensioni Parti del tronco incomplete Alcuni dei quattro pezzi che restano dell'opera, dovevano essere sei. Il 25 luglio 1943 cade Mussolini, il giorno successivo gli scalpellini cessano i lavori. Quello che resta dell'opera incompiuta In primo piano il basamento della 'puleggia di rinvio' che trascinava i carrelli Quello che resta dell'opera incompiuta Quello che resta dell'opera incompiuta Quello che resta dell'opera incompiuta visibile dal mare
 

Nato a Livorno il 30 agosto 1876, muore a Ponte a Moriano (LU) il 26 giugno 1939. Entrato all'Accademia Navale di Livorno nel 1891 è nominato guardiamarina nel 1896, sottotenente di vascello nel 1898, tenente di vascello nel 1901. Nell'agosto del 1915 è capitano di corvetta, nel giugno 1917 è promosso capitano di fregata, dal luglio 1917 al maggio 1919 è ispettore dei «MAS» ed è al comando di una motosilurante che si distingue in un'azione che gli varrà la concessione della medaglia d'oro al valor militare e in seguito (1928) anche il titolo nobiliare di conte. Promosso nell'agosto del 1918 capitano di vascello per meriti di guerra, nel maggio del 1919 viene collocato, a sua domanda, in ausiliaria. Aderisce al fascismo divenendone il massimo rappresentante nella città natale, e nelle elezioni del 1921 viene eletto deputato, sempre nel collegio di Livorno. E' anche proprietario de "Il Telegrafo" il giornale cittadino. Dopo la marcia su Roma è al sottosegretariato della Marina Mercantile (19 novembre 1922-5 febbraio 1924), ove cerca di ammodernare la flotta con premi di navigazione e di demolizione; introduce il nuovo Regolamento sulla sicurezza della vita umana in mare ed abolisce ogni residua libertà sindacale per i lavoratori del Mare. Dal febbraio al maggio 1924 è ministro delle Poste e successivamente, per un decennio, ministro delle Comunicazioni, nuovo, grande ed unico dicastero comprendente la Marina Mercantile, le Poste, i Telegrafi e le Ferrovie. Personalità di spicco del regime, riceve da questo onori e riconoscimenti: nel luglio 1923 è contrammiraglio di divisione, poi ammiraglio di divisione; il 24 settembre 1930 è chiamato da Mussolini a far parte del Gran Consiglio del fascismo, nel 1931 è ammiraglio di squadra e nel 1936 ammiraglio d'armata. Il 30 aprile 1934 è eletto per acclamazione presidente della Camera Fascista che sta per diventare, anche formalmente e giuridicamente, Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Il popolare «Ganascia», così chiamano Costanzo Ciano i livornesi che nel 1936 lo hanno visto a tavola nella memorabile cacciuccata di piazza Mazzini, tornava apposta a Livorno per memorabili cacciuccate. Era ghiotto anche di stoccafisso e ogni volta che passava da Antignano se lo faceva preparare dal fratello Gino, ma gli appetiti non erano esclusivamente culinari. Muore d'infarto nella notte tra il 26 e il 27 giugno a 63 anni anche se ne dimostrava di più. Ha esalato l’ultimo respiro nella sua villa di campagna, a Ponte a Moriano, dopo aver banchettato con la moglie Carolina ad Antignano, nella casa dei migliori amici livornesi, i fratelli Baiocchi. Riceve onori solenni. È il primo grande gerarca ad essere salutato in pompa magna. Il primo e l'ultimo. Il re è in lacrime davanti alla sua salma. Mussolini accorre dalla Romagna pilotando un trimotore. La Livorno fascista lo amava perché era sanguigno e generoso, ed era rimasto un livornese verace. I funerali richiamano a raccolta l’Italia del consenso. Da Tripoli giunge in volo Balbo. Quattro corone si impongono sulle altre: quelle di Hitler, di Gòering, di Ribbentrop e di Hess. Unico assente l’ex segretario del partito Giurati, che aveva accusato Ciano di affarismo. Due mesi dopo scoppia la guerra mondiale. (Da Internet ed Il Tirreno). Costanzo Ciano era forse l’uomo più ricco d’Italia. Negli anni in cui fu al governo aveva accumulato un patrimonio personale di un miliardo di lire (un miliardo di allora). Nei pressi di Firenze aveva acquistato tre proprietà del valore complessivo di 80 milioni. Le maniglie della villa che stava costruendo in quella proprietà erano di corallo e le incorniciature delle finestre in tartaruga. Solo questi accessori erano costati 800.000 lire. Anche suo figlio Galeazzo, benché non ne avesse bisogno, s’era arrangiato. Un anno dopo la sua morte vennero requisiti agli eredi i 114 appartamenti che possedeva a Roma. A differenza dei plutocrati americani, che avevano raggiunto il potere attraverso la ricchezza, i gerarchi fascisti avevano seguito il percorso opposto. Tuttavia nessuno costrinse Indro Montanelli a recensire nella terza pagina del «Corriere della Sera», il 30 ottobre 1940, il libro di Roberto Farinacci su Costanzo Ciano, morto l’anno prima: «Nella lotta entrò com’era entrato nelle acque della flotta nemica: guardando diritto davanti a individuare il nemico. Il nemico non era un uomo e un partito; il nemico era il malcostume elettorale e parlamentare Costanzo Ciano, nell’Italia di allora, faceva la figura di un Prometeo incatenato. A un certo punto, come gli succedeva sulla nave, senti la rotta che bisognava tenere. Anche per lui, come per tanti altri italiani, i migliori, il Fascismo fu una intuizione, un gesto di fede, compiuto senza calcolo. “A bordo, dopo Dio, il padrone è il capitano”. Costanzo Ciano cercò il suo Capitano, Lo trovò, e da quel giorno Lo seguì fedelmente, senza una pausa di esitazione, a Lui dando tutto...». (Da: "Otto milioni di biciclette" di Romano Bracalini)
                                     I faraoni di monte Burrone
Quando Costanzo Ciano morì fu aperta una sottoscrizione per costruire un "monumento eterno" sulla collina che sovrasta Livorno. Sul monte Burrone che domina Livorno come una fortezza si cuociono al sole le rovine imponenti del progettato mausoleo della famiglia Ciano, cominciato già quando la guerra infuriava in Europa, interrotto per l'incalzare degli eventi, fatto saltare dai guastatori tedeschi in ritirata. Lo scoppio di una mina che lacerò l'aria la mattina del 9 luglio 1944, stroncò il faraonico sogno di grandezza, scosse dalle fondamenta l'effimero castello che doveva ricordare una gloria imperitura come le piramidi della Valle dei Re. Restano i ruderi che hanno sfidato per due decenni l'erosione del mare, la furia dei vandali, soffocati dalla boscaglia più invadente, smaniosa di riconquistare il terreno perduto. Restano, la struttura fondamentale del tempio, tutto in cemento armato, con le due scalinate di 70 gradini, i sarcofaghi di marmo rosso che dovevano dare eterna dimora alle spoglie dell'Eroe di Buccari e di Maria Magistrati Ciano. Pochi turisti vanno lassù per la bella strada panoramica a meditare sulla breve storia dei faraoni di monte Burrone travolti dalla ventata che sconvolse il mondo. Il mausoleo, come le tombe dei faraoni ha voluto le sue vittime. Due bambini, uno di 15 e l'altro di 4 precipitarono abbracciati nella voragine e si sfracellarono sui blocchi di cemento. Era il giorno di Pasqua del 1962. Sono già trascorsi molti mesi, si sono spenti gli echi di una polemica che si era subito accesa. Cosa dovremmo farne del monumento? Distruggerlo? Dedicarlo ad un Grande livornese o lasciarlo così prendendo le dovute precauzioni perché non si ripetano incidenti? Servirebbe da monito alle generazioni future ed una targa dovrebbe ricordare la storia dei faraoni di monte Burrone. Una storia che merita di essere raccontata.
Alla mezzanotte del 27 giugno 1939, Costanzo Ciano, nato il 30 agosto 1876, da Raimondo e Argia Puppo, in via del Convento, morì per un improvviso malore. «Sua Eccellenza, Eroe della Patria e del Fascismo, dice l'annuncio ufficiale, di cui Livorno era madre orgogliosa, non è più. Egli è mancato repentinamente verso le 24. Sua Eccellenza aveva passato la serata a Livorno in casa di amici. Verso le 10,30 prese congedo e partì con la contessa per la sua residenza a Ponte a Moriano. Durante il tragitto Sua Eccellenza fu colto da improvviso mortale malore. Soccorso e confortato dalla consorte Egli spirava appena giunto alla villa. Erano le 24,5. Sua Eccellenza la Contessa Carolina Ciano ne dava Ella stessa con voce convulsa dall'angoscia la notizia al figlio. La stessa comunicazione veniva fatta pochi minuti dopo al Duce del Fascismo
». Il giorno successivo, Mussolini, il Re, il segretario del partito, tutta l'Italia in orbace giunse a Ponte a Moriano per rendere omaggio allo scomparso. Mentre telegrammi di condoglianze, più o meno sincere, giungevano dai Capi di Stato di tutto il mondo, la salma sfilava su un affusto di cannone per le vie di Livorno, seguita dal Duce in atteggiamento addolorato, ma fiero, da donna Rachele, da Edda, da Galeazzo e Carolina Ciano, dalle alte gerarchie, dagli squadristi, da una marea di folla mobilitata dall'organizzazione del regime. Si leggeva in un manifesto listato a lutto: «Ora egli passa per queste strade per l'ultima volta ed il popolo ancora è accorso, non più in festa...Oggi domina il nero». Domina infatti il nero, fra due ali di uomini in uniforme fascista, le aquile d'argento che brillano al sole, i resti mortali furono trasportati al cimitero della Purificazione, provvisoria dimora. Una regia perfetta, una coreografia che lasciò qualche segno anche nel popolo livornese, pur così poco sensibile alla grandiosità retorica. La salma del Grande, si disse, riposerà nel Famedio di Montenero, ma si seppe poi che la famiglia insisteva per la Purificazione, dove erano stati tumulati i genitori dell'Eroe, Raimondo e Argia. Questa soluzione non poteva andare bene al Fascismo che reclamava la sua parte. «La gloria guerriera e fascista di Costanzo Ciano, sarà esaltata degnamente nella sua Livorno». Nacque così l'idea del mausoleo grandioso, un monumento al regime più che all'uomo, alla dinastia, più che all'Eroe. «Il Podestà, si apprende da un bollettino diramato il 29 giugno 1939, ha convocato d'urgenza la consulta municipale al palazzo comunale per commemorare il Grande Scomparso. Per la vivissima sua commozione ha dovuto interrompere il suo dire ed ha fatto dare lettura di uno schema di deliberazione da lui predisposto per stabilire quanto segue: che sia erogato un primo fondo di lire 100.000 col quale aprire una sottoscrizione cittadina per l'erezione di un monumento che eterni le gesta marinare di Costanzo Ciano.... Il fascismo voleva insomma una piramide per il suo faraone e chiedeva al popolo di costruirla, imponendo al popolo il «sacrificio e l'onore». Tutti gli ingranaggi della macchina del regime furono messi in moto. Agli operai ed agli impiegati fu tolta una giornata di paga, agli industriali furono richiesti «sostanziosi fondi»  che potessero costituire valido esempio. «Per onorare fascisticamente il Grande Figlio di Livorno», fu ripetuto senza sosta, per mesi e mesi. Apparve sui muri a lettere cubitali questo comunicato: «Tutti i fondi e le offerte per onorare la memoria di Costanzo Ciano debbono affluire alla Tesoreria della Federazione dei Fasci di combattimento di Livorno a palazzo Littorio». La sottoscrizione riscosse subito un grande successo e le casse del Fascio si riempirono in breve, si che rimase soltanto il problema di costruire il mausoleo.
Ma nel frattempo erano accadute molte cose, l'Italia era entrata in guerra sfidando il mondo intero, l'attenzione popolare fu tutta presa dai drammatici eventi che si succedevano con impressionante rapidità. Tuttavia il regime che si cullava nell'illusione della vittoria facile, non aveva dimenticato il suo disegno: costruire a monte Burrone l'opera immortale. E nel primo annuale della morte di Ciano fu pubblicato il progetto del mausoleo, preparato dallo scultore Arturo Dazzi e dall'architetto Marcello Piacentini. Con la retorica prosa di allora fu così annunciato al pubblico: «Una via serpeggiante, dal litorale salirà sul monumento che nella sua altera solitudine, nelle linee severe nelle quali è stato ideato, dirà della Grandezza e della Gloria dell'Eroe del mare, alto e vigilante sul lido d'Italia. Dietro alla statua si alzerà un faro che nella solitudine delle notti risplenderà lontano sui flutti placidi o muggenti della tempesta, vigilando l'anima stessa dell'Eroe, che veglierà su Livorno e sul Tirreno». Vediamo in parole più semplici come doveva essere il mausoleo. Vi si doveva accedere con la strada che fu infatti costruita e di recente asfaltata che domina la città e Antignano. Avrebbe dovuto condurre proprio davanti alla chiesa scavata nella collina, che doveva apparire come un blocco granitico con una sola porta bassa rispetto alla costruzione, la cui facciata era completamente nuda. Ai lati due interminabili gradinate, ciascuna divisa in due rampe per salire fino ai piedi della torre a forma di matita con l'apice sottile dove era stato ricavato lo spazio sufficiente per il faro. La luce tanto potente che sarebbe stata visibile anche dalla Corsica. Tre altari erano stati progettati per la chiesa che avrebbe dovuto contenere un'altra scalinata, oltre all'ascensore per poter ammirare da vicino il monumento vero e proprio. Costanzo Ciano con le braccia incrociate, il volto eretto, gli occhi verso il mare, avrebbe vigilato in piedi su un'autentica scogliera marina trasportata sulla volta della chiesa alla base della torre. «Chiari i simboli, annunciarono le autorità con la consueta prosa, il faro, la rupe su cui l'erma si posa, le scale tagliate nella pietra nuda, per cui dal piano risonante del respiro dei flutti, dolcemente si salirà verso la vetta, per raggiungere il simbolo più eloquente della grandezza della Patria». Erano così cominciati i lavori che proseguivano alacremente. Intanto gli aerei italiani bombardavano Malta, Balbo perdeva la vita nel cielo di Tobruk, il Duce passava in rivista le truppe che «avevano messo in ginocchio la Francia». Questi sono i titoli delle prime pagine dei giornali dell'epoca: «A Londra si scommette se e quando sbarcheranno i tedeschi», «Scacco inglese all'Africa Orientale», «Aperta all'Italia la via del Sudan», «La nostra flotta mette in fuga i britanni nel Mediterraneo», ed avanti di questo passo. L'Asse vinceva ovunque, gli italiani venivano cullati nell'illusione di una guerra facile ormai agli sgoccioli. Cominciano un anno più tardi le delusioni e crollano i miti. L'impero fascista si dissolve, dall'Africa Settentrionale giungono le notizie dei primi rovesci. Nessuno parla più di Costanzo Ciano ed i lavori vengono interrotti. L'Italia è mobilitata, ha bisogno di ferro e di cemento, si strappano le cancellate, si sogna di tornare alla vittoria con lo stesso linguaggio infarcito di magniloquenza. Poi la catastrofe.
I tedeschi sono padroni di tutto e profanano anche il mausoleo. E' un buon osservatorio, non possono rinunciarvi. Piazzano sulla torre già costruita una mitragliera e sulla cupola della chiesa un apparecchio di ascolto per gli aerei alleati che ormai bombardano quotidianamente Livorno. I monteneresi rammentano l'aerofono a forma di grande telaio che sulla vetta del monte girava incessantemente su se stesso per captare il rombo dei motori lontani e rammentano anche le visite mattiniere dei cacciabombardieri americani che a volo radente cercavano di spazzar via la postazione tedesca. La mitragliera sulla torre tossiva disperatamente per allontanare il pericolo che si faceva sempre più vicino. Finché una mattina gli aerei fecero terra bruciata e la mitragliera saltò. Un'ambulanza militare, quando tornò il silenzio, salì su per la bella strada panoramica ancora sassosa, per discenderla poco dopo a rotta di collo, grondante il sangue dei morti e dei feriti. I tedeschi se ne andarono per sempre, ma prima di fare le valigie, minarono la torre che, in una limpida mattina di luglio, (verso le 11,30), si sollevò sulla base, parve librarsi per un attimo, ricadde pesantemente in un nuvolo di polvere sulla chiesa, che resistette bene. Così finì il sogno di gloria dei faraoni di monte Burrone, un sogno di cui è rimasto solo il ricordo ed un rudere immenso sulla collina che domina la città. Nel dopoguerra sono stati avanzati diversi progetti per recuperare ciò che è rimasto. Un monumento ai Caduti del mare? Un monumento a Mascagni? Lasciare tutto come sta? Le rovine, i sarcofaghi di marmo rosso, continuano ad arrostirsi al sole, esposte all'azione distruttrice degli elementi e dei vandali. Si è disperso nella polvere il mito del faraone di monte Burrone. Non dovrebbe andare perduto ciò che fu costruito nell'eterna umana illusione di lasciare un'impronta indelebile nei secoli avvenire.
(Piero Gioli per "Il Telegrafo" del 29/11/1963)
                                Il Mausoleo di Ciano a Livorno

E' a Livorno, alle spalle della città, in località monte Burrone ciò che resta dell'imponente monumento costruito per ospitare la tomba del gerarca fascista e della sua famiglia. La costruzione del Mausoleo ebbe inizio dopo la morte di Ciano, avvenuta il 26 giugno 1939. Livorno gli deve molto: grazie a lui il cantiere navale è diventato il principale dell'impero, nel 1925 ha ottenuto la provincia, poi lo stadio, l'ospedale ed una importante espansione urbanistica. E' naturale che il Podestà cittadino voglia ricordare con un monumento importante la memoria del grande livornese, bandiera del fascismo. Niente di meglio di un vero Mausoleo. Secondo il progetto originario, il monumento avrebbe dovuto essere costituito da un grande basamento sormontato da una statua marmorea, alta 12 metri, dello stesso gerarca e da un colossale faro a forma di fascio littorio alto più di 50 metri. Il Mausoleo fu finanziato da una sottoscrizione pubblica aperta dal Podestà di Livorno ed i lavori furono affidati a Gaetano Rapisardi per la parte architettonica, e allo scultore Arturo Dazzi per quella monumentale. La costruzione procedette rapidamente, tanto che, malgrado lo scoppio della guerra, nei primi anni quaranta era già stato realizzato il faro, che con la sua luce avrebbe dovuto ricordare lo spirito immortale di Ciano. Tuttavia, l'epilogo della dittatura fascista impedì il completamento dell'opera, che fu lasciata nella forma di un massiccio torrione alto circa 17 metri, mentre il faro fu minato dai guastatori tedeschi e abbattuto. La statua di Ciano, terminata solo in parte, non fu mai posta in opera e giace ancora sull'Isola Santo Stefano  nell'arcipelago della Maddalena, in Sardegna, presso la cava nella quale era ancora in lavorazione al momento della sospensione dei lavori. Ciò che resta del Mausoleo è incentrato attorno ad una vasta sala voltata, delimitata da colonne d'impostazione classicheggiante, alla quale si accede mediante una severa apertura architravata; presso il corridoio d'ingresso si riconoscono inoltre i resti del vano scale e del pozzo per l'ascensore, che avrebbero dovuto condurre i visitatori alla sommità del basamento. La copertura, sopra la quale sarebbe stata innalzata la statua di Ciano, è anch'essa incompleta ed è costituita essenzialmente dall'estradosso della volta sottostante. Attualmente il monumento, abbandonato da oltre sessant'anni e sottoposto a continui vandalismi, viene saltuariamente utilizzato dalla Brigata Paracadutisti Folgore e dal Tuscania per esercitazioni di discesa con la corda. Con la caduta del fascismo anche le statue di Genova, La Spezia, Brindisi che inneggiavano all'eroe di Buccari, sono state decapitate e distrutte, resta solo una statua di bronzo al Museo Navale di La Spezia.

                  La statua di Costanzo Ciano nell'isola di Santo Stefano

Una statua incompiuta scolpita nel granito. E’ quella di Costanzo Ciano, che è rimasta sull'isola di Santo Stefano, nell'arcipelago della Maddalena, in Sardegna, nelle cave di granito di Villamarina. Per volere del fascismo, il monumento al comandante livornese, alto ben 13 metri, avrebbe dovuto rendere più solenne il mausoleo eretto nella sua città di origine, sulle colline di Monteburrone. Ma dal 1943 il busto del consuocero del Duce, ben lavorato dagli scalpellini isolani, è sistemato sul piazzale di cava. Il capo è ricoperto dal ‘nordovest’ tipico dei naviganti. Qua e là lo circondano i pezzi rovesciati di un corpo che non si sa se verrà mai ultimato. Ma a chi appartiene oggi l’opera? ‘’E’ della mia famiglia’’ dice Pasqualino Serra, proprietario della Cava. ‘’E’ rimasta lì – spiega - non pagata. Nel 1946-47 ci fu un concordato con il Comitato di Livorno: i materiali che era già partiti per Livorno sono stati pagati, mentre ciò che è rimasto alla cava, chiusa dal ’66, non è stato saldato’’. E così Serra, che è stato sindaco di La Maddalena dal ’93 al ’97 rimarca: ‘’La statua sta dove è nata, dal 25 luglio del ’43. Il giorno dopo, il 26 – racconta – arrivò a mio padre (allora proprietario della cava dell’isola di Santo Stefano, ndr) il telegramma da parte del comitato committente del monumento che ordinava di sospendere la lavorazione’’. ‘’Oggi ci sono turisti che fanno le foto. Ma sto pensando a una collocazione del monumento - che va ultimato - su un picco dell’isola, in modo che possa essere visibile ai naviganti’’. E, taglia corto: ‘’La statua però non deve rappresentare più Ciano, ma tutti i gloriosi nocchieri isolani della marina sarda''. Quanto al progetto originario, ‘’per dimensione sarebbe stato il secondo complesso monumentale d’Italia, dopo l’altare della Patria. L’opera progettata da Arturo Dazzi, lo scultore più famoso dell’epoca, sarebbe stata collocata sul Mas stilizzato, mentre alla spalle era previsto un faro a forma di fascio littorio’’. ‘’Quando venne Dazzi – tiene a precisare Serra – prima di iniziare i lavori volle vedere il punto di cava dal quale sarebbe stato tratto il granito. Si innamorò del posto tanto da esclamare: ‘Chiamiamo questo posto Velamarina, non Villamarina’’. Poi l’artista, conquistato dai venti isolani, aggiunse: ‘’Ciano lo faccio con il ‘Nordovest’ perché la statua deve ricordare i naviganti. Io credo che lo scultore volesse già lanciare la statua oltre il fascismo. D’altra parte Dazzi era un poeta…’’. Serra spiega anche di ‘’non aver alcun rapporto oggi con gli eredi di Ciano’’, confessando invece che ‘’quando Spadolini fu ministro della Difesa, il Comitato ‘Livorno Nostra’ mi aveva chiesto di donare la statua perché fosse collocata all’interno dell’accademia navale. Feci notare loro – aggiunge l’ex sindaco di La Maddalena – che si trattava della statua di un grande gerarca fascista e mi risposero che il ministro era d’accordo a collocarla nel piazzale dell’accademia. Il problema a quel punto era mio: replicai secco che non avevo alcuna intenzione di regalare loro la statua. Avevo già subito l’esproprio di importanti terreni da parte della marina per la base americana di Santo Stefano. E non mi era ancora passata...’’. Le testimonianze fotografiche della lavorazione del colosso di Ciano, così come tutti i documenti cartacei relativi all’opera ‘’sono andati distrutti in un’azione vandalica di cui è stato oggetto l’ufficio della cava negli anni ’67-68. Hanno portato via tutti i ricordi, ma non lo spirito che si respirava allora tra gli scalpellini dell’isola’’.
(Novembre 2006)
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