Vada oggi/Casone Nuovo  
 Magazzini ottocenteschi al Casone Nuovo Fabbricati (arch. Mafalda Guidi) La cappella della Fattoria Tardy-Traverso. A sx lo stemma dell'Arcivescovo Angelo Franceschi Il fabbricato con la cappella  (arch. Mafalda Guidi) L' interno della cappella di S.Ranieri nella Fattoria Tardy-Traverso, restaurata nel 1954. La campana sul tetto  (arch. Mafalda Guidi) Il Casone Nuovo è costituito da due fabbricati. Solo questo è restaurato. Attività industriale al Casone, Aurelia sud (Fattoria Tardy). Impianto per la lavorazione e inscatolamento dei pomodori Casone, (Fattoria Tardy-Traverso). Ex molino a vapore, oggi doppio frantoio. Accanto al frantoio moderno esiste ancora il frantoio tradizionale. Il vecchio mulino (arch. Mafalda Guidi) Immagine del frantoio tradizionale (arch. Mafalda Guidi) Il frantoio (arch. Mafalda Guidi) Esterno del frantoio (arch. Mafalda Guidi) Casone nuovo e tettoia della cisterna interrata (arch. Mafalda Guidi) La ex cisterna interrata raccolta acque piovane (arch. Mafalda Guidi) Piante secolari nel parco (arch. Mafalda Guidi) Particolari (arch. Mafalda Guidi) Particolari (arch. Mafalda Guidi) Particolari (arch. Mafalda Guidi) Particolari (arch. Mafalda Guidi) Particolari (arch. Mafalda Guidi) Particolari (arch. Mafalda Guidi)
 
    Il Cason Nuovo dell'Arcivescovado di Pisa fino al 1839 (Archivio Mafalda Guidi)

  Alla fine del '700 nella Comunità di Rosignano tutta la pianura a sud del Fine si presentava come una landa pressoché spopolata, con pochissimi edifici presenti. Tra questi vi erano alcune strutture militari attinenti alla strada dei Cavalleggeri ed al porto di Vada; due "Casoni da lavoria" (Casone Nuovo in questa pagina, il Vecchio ai Polveroni (vedi) dell'Arcivescovado di Pisa, collegati da una strada, oggi scomparsa, il cui tracciato è testimoniato da un ponte (Ponte dei Fichi) superstite; un mulino (sul Botro Ricavo) con relativa osteria (detti "del Riposo") ed alcune "case da lavoratore" (in loc.Valloncino).

                          La fornace da mattoni dei Caputi
Nell’ambito dell’allivellazione della Tenuta di Vada e al relativo appoderamento (1839), uno dei maggiori assegnatari fu Raffaello Caputi, al quale andarono 363 ettari suddivisi in 27 preselle, con l’obbligo di edificarvi entro il 1843 ben 25 case. I suoi terreni, ubicati intorno al Cason Nuovo, erano distanti dalle fornaci del Fine; forse per questo motivo il Caputi decise di costruire una propria fornace sfruttando le argille depositate dal Torrente Tripesce ed il legname delle vicine boscaglie. Il luogo fu scelto lungo lo Stradone della Macchia e, quando nel 1858, dopo l’appoderamento dell’ex-tenuta, furono ridisegnate per la Comunità di Rosignano le nuove mappe catastali relative alla “Sezione F detta di Vada”, vi fu rappresentata anche questa fornace, che tre anni prima era stata così accatastata: “Sotto il vocabolo la Fornace è situata la Fornace di contro, la quale vien distinta coll’appezzamento 702 e serve alla cottura di mattoni e di altro lavoro quadro. L’appezzamento 703 rappresenta una loggia con tettoia sostenuta da pilastri, ed una stanza a tetto per uso di fornaciaio” . Dalle dimensioni riportate negli atti catastali doveva trattarsi di un impianto abbastanza grande, che verosimilmente servì non solo ai bisogni edificatori della fattoria Caputi, comprendente la villa padronale al Cason Nuovo (con chiesa, forno, cisterna, e annessi vari) più numerose case coloniche sparse nella zona, ma anche per la costruzione di altri fabbricati rurali dell’appoderamento di Vada. Terminata la sua funzione produttiva venne demolita (non sappiamo quando) per far posto alle coltivazioni e già nel Catasto Fabbricati del 1876 non risultava più censita. Nel luogo dove sorgeva (sulla destra della strada che collega il “Podere La Macchia” con il “Podere delle Pescine”) si rinvengono ancora oggi frammenti di laterizi, coppi ed altro materiale ceramico.

(Da "Antiche manifatture del territorio livornese" di Taddei-Branchetti-Cauli-Galoppini, scaricabile dal sito)

Foto 3 - La cappella della Fattoria Tardy-Traverso al Casone, Aurelia sud. A sinistra lo stemma dell'Arcivescovo Angelo Franceschi (1718-1806) della Mensa Arcivescovile Pisana, presente sul lato opposto del fabbricato padronale Caputi, a dimostrazione che la struttura iniziale della costruzione esisteva già prima delle opere di allivellamento e bonifica e quindi degli ampliamenti realizzati dai Caputi. 
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Dal Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana di Emanuele Repetti (1833).
      
« CASONE DEL FITTO DI CECINA, o DI VADA.
Poche rustiche capanne con una maggiore, detta il Casone, trovansi fra la bocca di Cecina e il Forte di Vada.
Era questo Casone abitato dagli stalloni che servivano alla razza dei cavalli del Fitto e da altre specie di bestie. - Agli animali sono ora subentrati uomini industriosi e nuovi proprietari, i quali incoraggiati da favorevoli condizioni nel fatto acquisto del R. Fitto, vanno a ravvivare con crescenti abitazioni le rive della Cecina e i contorni del Casone di Vada, nel tempo che mutano faccia e cultura a quella già monotona e deserta pianura. Molti luoghi della Maremma sono segnalati col nome di Casone, quasi altrettanti piccoli casali formati di capanne. Tale è il Casone di Bibbona sulla strada Aurelia, quello di Bolgheri, detto il Casone di S. Guido da un vicino oratorio, all'ingresso dello stradone di Bolgheri; il Casone di Ugolino sotto Castagneto...» (Il Dizionario Repetti è scaricabile dal sito alla sezione Scaricolibri)

 Foto 5 - A destra lo stemma della famiglia Caputi che fu fra le più attive protagoniste dell'allivellazione leopoldina. Nei decenni successivi la famiglia si esaurisce e si imparenta con i Tardy che in tempi più recenti fanno altrettanto con i Traverso. Nel secolo scorso i Traverso provvedono a modificare il loro cognome in Tardy-Traverso per non disperdere parte della tradizione familiare. (Note verbali rilasciate dall'arch. Ernesto Traverso_Tardy il 21-5-2005)
Nel riquadro in alto a destra si cita:" A ISTANZA DELLA MENSA ARCIVESCOVILE DI PISA E CON IL PERMESSO DEL R.DIRITTO DATO CON LETTERA DEL 20 DICEMBRE 1815 S.E. REVERENDISSIMA MONS.GIROLAMO GAVI VESCOVO TITOLARE DI MILTO E VESCOVO DELLA DIOCESI DI LIVORNO CON DECRETO VESCOVILE IN DATA 4 LUGLIO 1816 SI DEGNAVA CONCEDERE ALLA MENSA ARCIVESCOVILE, L'ORATORIO PUBBLICO AL CASONE NUOVO DI VADA DEDICANDOLO A SAN RANIERI PROTETTORE DELLA CITTA' DI PISA. L'ORATORIO APERTO AL CULTO NEL SETTEMBRE 1816 E BENEDETTO DAL REV.mo DON RANIERI PARADOSSI PIEVANO IN ROSIGNANO MARITTIMO, E' STATO ORA COMPLETAMENTE RESTAURATO E DECORATO DAL PROF.PITTORE ALESSANDRO PERICO DI VILLA D'ADDA (BERGAMO) PER CONTO DELLE ATTUALI PROPRIETARIE FRECCERO MARIA FRANCESCA FU FRANCESCO VEDOVA DI GIOVANNI TARDY E DELLA SIGNORA TARDY CATERINA FU GIOVANNI IN TRAVERSO ALFREDO, NEL SETTEMBRE DELL'ANNO 1954 PER ONORARE LA MEMORIA DEI LORO CARI DEFUNTI - VADA 30 SETTEMBRE 1954. Dietro l'altare una microscopica sacrestia.
Sempre legate al mondo rurale sono anche le "chiesine di fattoria", che i grandi proprietari terrieri costruivano in una parte della villa padronale o nelle sue vicinanze. Oltre ai bisogni spirituali del notabile, queste piccole chiese dovevano servire anche ai bisogni spirituali dei mezzadri e dei braccianti (e delle loro famiglie) che, spesso, l'insediamento polverizzato su podere portava lontano dalle chiese parrocchiali. 

Foto 7 - Il Casone Nuovo è costituito da due grandi fabbricati, dei quali solo quello qui rappresentato è restaurato dando luogo ad una ulteriore divisione in vecchio e nuovo.  In alto a destra l'epigrafe posta sulla facciata nord del fabbricato, reca scritto: "ARMENTIS ET RELIQUO PECORI CURANDO PASCENDO TUTANDO ARCHIE.PO.LIS AERARI  PECUNIA COSTRUCTUM  A.D. MDCCXXVI" (E' stato costruito per la cura per il pascolo e per la salvaguardia degli armenti e del restante bestiame con i soldi dell'erario arcivescovile nell'Anno del Signore 1726)

  Foto 10 - Notizie su questo mulino sono state raccolte dalle testimonianze del figlio di uno dei due mugnai - i fratelli Malerbi (Giovanni e Renzo), nativi di Calci - che vi lavorarono dai primi anni del Novecento fino all'ultimo conflitto mondiale. L'anno di costruzione dell'opificio non è noto per certo sappiamo che nel 1908 il mulino funzionava ancora con l'ausilio del vapore e, dopo un breve periodo di lavorazione "a gas povero" (1914), fu installato un motore elettrico. Nell'edificio della foto dove compare la scritta; "Mulino a vapore", si trovava la caldaia (del tipo Cornovaglia) e le macchine per la trasmissione del movimento che avveniva mediante un sistema di cinghie passanti in una fossa coperta. Il mulino vero e proprio si trovava nell'edificio accanto al precedente dove ancora oggi è possibile vederlo completo in tutta la sua dotazione (foto piccola). L'impianto, che era dotato di quattro palmenti, smise di funzionare fra il 1950 ed il 1960. In origine dotato di macine, il mulino venne successivamente rimodernato e trasformato in "mulino a cilindri", ma la qualità delle farine prodotte con il nuovo sistema non era di gradimento ai contadini della zona ed i proprietari si videro costretti a ripristinare le macine tradizionali. Con l'avvento dell'elettricità la ciminiera dell'impianto a vapore fu demolita ed i mattoni usati per ampliare la casa del vicino podere di S. Caterina. L'immobile che ospita il mulino è attualmente di proprietà dell'Arch. Ernesto Traverso, erede della famiglia Tardy che nel 1876 possedeva in Vada la Fonderia.  (Da: "Strade di pietra, vie d'acqua e di vento" di Giuseppe Milanesi e  Roberto Branchetti) 
                                          
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                     Il mulino dei Due Casoni di Luciano Malerbi (classe 1933)
Era mio zio Renzo, il fratello di mio padre, che portava avanti il lavoro del mulino. L'attività dei mulini era ininterrotta e indispensabile, tanto che i mugnai, come altre categorie di lavoratori, ad esempio i fabbri, erano stati dispensati dal sevizio militare, anche in tempo di guerra.
C'era così tanto da fare che mio zio chiamò ad aiutarlo anche mio padre. La mia famiglia, infatti, abitava a Livorno, dove mio padre faceva l'esattore del gas. La società per cui lavorava forniva il gas anche alla Curia. Ricordo che di tanto in tanto, alla domenica, il babbo mi diceva: "Vieni andiamo in duomo a veder se si riscuote qualcosa". In duomo cercava don Ciabatti, che era stato parroco di Vada e poi era diventato canonico della cattedrale. Don Ciabatti il più delle volte rispondeva a mio padre: " Giovanni, torna un'altra volta: ora non ho soldi abbastanza". Quando don Ciabatti dovette lasciare Livorno a causa dei bombardamenti, sfollò da noi, al mulino. Mio padre infatti aveva accettato la proposta del fratello e tutta la mia famiglia si era trasferita a Vada, al mulino dei Due Casoni. In tempo di guerra, mio zio e mio padre hanno cercato di aiutare il più possibile la gente di Vada e di altri paesi. Come? Macinavano di nascosto, con grave pericolo se fossero stati scoperti. Chi coltivava e produceva doveva portare tutto il raccolto all'ammasso statale. Le granaglie raccolte all'ammasso erano destinate al resto della popolazione e alle truppe. Invece si seppe che furono anche lasciate marcire...I contadini produttori potevano macinare una sola volta e solo la quantità di grano prescritta dal tesseramento. Portavano al mulino il quantitativo consentito che veniva regolarmente macinato e registrato. Ma in quei tempi di fame e di penuria si cercava anche di arrangiarsi un po', sottraendo qualcosa all'ammasso. Perciò si faceva ritorno al mulino per macinare ancora: questo era assolutamente vietato e comportava un grosso rischio. I controlli erano frequentissimi. Veniva un tale da Livorno. Arrivava in motocicletta, una Guzzi. Noi del mulino, quando si macinava di nascosto, mettevamo due sentinelle: una sull' angolo dell' Aurelia e l'altra sulla strada interna, quella che dal Ponte dei Fichi arriva ai Due Casoni.
Allora, di motociclette non ce n'erano tante, così il rombo del motore si sentiva già da lontano e la sentinella gridava: "Arriva!!" Quel controllore non era però "irreprensibile"!! Non disdegnava delle belle "mangiate". Mia madre ogni tanto ammazzava un coniglio o un pollo e lo invitava a restare a pranzo. Ci mettevamo a tavola e lui prendeva il vassoio comune e, giù, versava tutto il contenuto nel suo piatto. Noi tutti a guardarlo con due occhi così. Allora lui diceva: "Ne volete?" ma mio padre rispondeva:"Fate, fate! Noi abbiamo già mangiato!". Poi quello chiedeva il pane e, con un po' di furbizia, mia madre ne metteva in tavola pochissimo che finiva subito: "Non ce n'è più?" chiedeva l'ospite. "E' quello che abbiamo: sa, con la tessera...". Anche qualche contadino riusciva corromperlo così, sacrificando vassoiate di prosciutto e mettendo in tavola poco pane per ottenere il permesso di macinare qualcosa in più, oltre al consentito dal tesseramento...Dobbiamo ricordare che i 200 grammi di pane a testa consentiti, nel giugno del 1941, allorché iniziò il razionamento, già nel marzo del '42, erano calati a 150 grammi. E oltre al pane c'era ben poco con cui sfamarsi.
(Da: Quaderni Vadesi n°12 - Vada 1940-1945 un tempo segnato dalla guerra p.72)

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