Castiglioncello ieri      

1914 - A sinistra il soprintendente Luigi Adriano Milani. Il museo sulla destra. 1914 - A destra il 'museino' sul punto più elevato del promontorio, chiuso nel 1972 e riaperto nel 2011. Il museo nel 1914 Il museo nel 1924 1926 - Il Museo Archeologico sul poggetto a destra

 

 Origini e scopi del Museo Archeologico Nazionale di Castiglioncello

 L'idea di un piccolo Museo Archeologico di Castiglioncello, decentrato rispetto al grande Museo fiorentino dell'Etruria, nasce in Luigi Adriano Milani intorno al 1908. Gli scavi che egli ha personalmente condotto nell'area del Castello Pasquini a partire già dal 1903 come Soprintendente alle Antichità dell'Etruria hanno fruttato una notevole quantità di materiali, fra corredi tombali e oggetti sporadici, a dimostrazione che la sua intuizione sulla presenza in Castiglioncello di una necropoli di vaste dimensioni e di notevole importanza è perfettamente fondata. È in questi anni che egli comincia a preoccuparsi di acquisire un'area sulla quale edificare il tempietto-museo il cui progetto ha già in mente. Occorre una dignitosa sistemazione per i materiali del sepolcreto e un luogo isolato e pittoresco per suscitare nel visitatore il sentimento di un passato remoto tornato alla luce. Idea forse un poco retorica, alla radice della quale tuttavia sta una concezione che è invece del tutto attuale conservare ed esporre nel luogo d'origine i monumenti che appartengono alla storia locale. La donazione del terreno, ad opera del barone Fausto Patrone, avviene, dopo molte insistenze da parte di Milani, nel 1910 e consiste in un'area circolare di dieci metri di raggio posta sulla cima del Paggetto di Punta Righini, poi detto del Museo, in vista del mare e praticamente libera da altri edifici. Il progetto è affidato a Giuseppe Castellucci, architetto dell'Ufficio Regionale dei Monumenti di Firenze, dal quale il Milani pretende la fedele riproduzione di un'urna fittile d'età ellenistica a forma di tempietto proveniente da Riparbella e conservata nel museo fiorentino. Per la gioia del Castellucci egli impone anche, per le decorazioni architettoniche esterne che corrono su tutti i lati dell'edificio, la copia in cemento policromo delle terrecotte del tempio di Luni e del grande acroterio centrale del tempio di Talamone, raddoppiato ai due lati del tetto. La costruzione del Museo può dirsi completata fra il 1912 e il 1914, anno in cui Luigi Adriano Milani muore, avendo atteso fino all'ultimo al completamento dell'edificio e alla sistemazione espositiva dei materiali, compresa la splendida urnetta cineraria in alabastro di Velia Cerinei ritrovata nel 1905, che altri Soprintendenti avrebbero certo assegnato al museo centrale. Le vicende successive del Museo sono legate all'accrescimento delle sue collezioni derivante dalle non poche scoperte, a carattere prevalentemente casuale, che continuano a verificarsi nel territorio di Castiglioncello dopo il 1914 e fino al 1954, anno in cui, fra via Tripoli e via Asmara, viene alla luce un notevole numero di tombe con corredi di una certa consistenza: questa volta il materiale è accolto presso il Municipio di Rosignano Marittimo, in attesa della prossima costituzione del Museo Civico. Per circa un ventennio il piccolo Museo così fortemente voluto da Milani tenterà di sopravvivere a se stesso, ma la carenza di spazi, l'assenza di sistemi adeguati di sicurezza, i problemi di manutenzione e l'esistenza di un Museo Civico in espansione ne provocano nel 1972 la chiusura: la Soprintendenza Archeologica per la Toscana decide di trasportare a Firenze i materiali per i necessari restauri, mentre alcuni pezzi monumentali, quali l'urnetta di Velia Cerinei, trovano ospitalità nel Museo Civico di Rosignano Marittimo. Il progetto è di riallestire il Museo di Castiglioncello con nuovi criteri, una volta terminato il restauro dei materiali, progetto che tacita momentaneamente la fortissima resistenza della cittadinanza di fronte alla perdita di quello che è considerato un vanto locale. Un accordo con l'Amministrazione Comunale di Rosignano prevede il passaggio della gestione del Museo di Castiglioncello all'Ente Locale. (Pamela Gambogi). (Sintesi da: "Guida al Museo Archeologico di Rosignano Marittimo" di E.Regoli e N.Terrenato scaricabile dal sito)

                Adunanza Comunale dell'8 agosto 1911 - Museo archeologico in Castiglioncello.
Il Presidente propone il seguente......
                                                                        Il Consiglio
Udita la lettera 29 luglio 1911deò Prof. Luigi Milani Regio "Soprintendente" ai Musei e scavi d'Etruria, il quale propone che venga elevato in Castiglioncello in luogo detto "Poggetto" su terreno già donato al Comune dal Barone Patrone, un Museo Archeologico Comunale che raccolga le antichità raccolte nel luogo. Udito che la spesa di costruzione sarebbe da sostenersi parte dal Governo e parte da sottoscrizioni private e quelle di custodia dovrebbero coprirsi con le mance e una tenue tassa di ingresso, dimodochè nessun aggravio finanziario può derivare al Comune. Ritenuto che si debba accettare pienamente la proposta del Soprintendente Prof. Milani, tendente al nobile scopo di conservare le preziose antichità del luogo, di esporle pubblicamente a vantaggio degli studiosi e del popolo, con lustro e decoro anche della frazione di Castiglioncello. Ritenuto che tanto il Prof. Milani e gli altri cooperatori alla riuscita del progetto, meritino la più ampia lode di questa rappresentanza Comunale. Dolendosi che la Finanze del Comune non permettono di concorrere con una somma di denaro
                                                                           Delibera
1°/ Di accettare la proposta di erigere un Museo di proprietà Comunale in Castiglioncello sulla sommità del luogo detto "Poggetto" e cioè su terreno del Comune destinato a raccogliere le antichità del luogo.
2°/ Di ..... che la costruzione di esso Museo e l'assetto delle antichità nel suo interno, abbia luogo a spese private e del Governo e per cura del Soprintendente degli scavi d'Etruria.
3°/ Di stabilire che la custodia del Museo debba affidarsi dalla Giunta Municipale, su proposta del Soprintendente di Firenze ad un guardiano residente sul luogo, che sia adatto, di piena fiducia, e possa assumere il servizio di pulizia, di vigilanza e sui visitatori con semplice compenso delle mance o di una tenue tassa d'ingresso da determinarsi dalla Giunta Municipale daccordo con la R. Soprintendenza suddetta. Il consigliere Silvestri fa osservare che il Museo avrebbe dovuto sorgere in Rosignano, ma altri consiglieri fanno notare che le antichità provengono dagli scavi fatti in Castiglioncello e che è giusto perciò che il Museo sorga in detta località.
Nessun altro domandando la parola, il Presidente mette ai voti il deliberato suddetto che per alzata e seduta viene approvato alla unanimità dai 12 consiglieri presenti.

                     Reperti archeologici e le origini moderne
Castiglioncello, già chiamato Castiglione Mondiglio, poi Castiglioncello di Rosignano, fu sicuramente una zona abitata da etruschi, se pur non anche da popoli più antichi, e poi dai romani. A testimonianza di queste affermazioni stanno i numerosi e svariati oggetti ritrovati in diverse epoche, quali alcune statue, stele, vasi, monete che già l'Avv. Luigi Berti aveva raccolto fino da sessant' anni fa (1865). Durante i lavori della ferrovia da Livorno a Vada (1907), nel tratto tra la stazione di Castiglioncello ed il botro Quercetano vennero alla luce molto tombe ed urne cinerarie, che costituivano una vera necropoli etrusco-romana e tuttora, scavando i fondamenti di alcune case, si rintracciano oggetti pregevoli di epoche lontane. Verso Caletta si trovarono pavimenti a mosaico romano, nonché bellissimi basso-rilievi; al Cotone, avanzi di fabbriche di vasi; segno evidente che la località di Castiglioncello era estesamente abitata. Nel 1825 Giovanni Faccenda, in un terreno acquistato dai Buoncristiani, scavando sassi per costruire una casa tuttora esistente ed abitata sempre dai Faccenda, scoprì un altare e vi trovò un vaso di terra cotta contenente degli involucri di piombo, sui quali erano impressi caratteri inintelligibili a noi. Si disse che l'altare appartenesse ad una antichissima chiesa di S. Salvatore e con tal nome la casa Faccenda, convertita in osteria, si chiamò. Si disse anche che fossero rintracciate reliquie di santo in vasi di terra, e tutto quello che fu raccolto venne spedito a Livorno. Il vice-console Antonio Ricci, dalle cui memorie sono ricavate queste ultime notizie, vide l'altare quasi intero e gli altri oggetti, ed il luogo preciso dello scavo era «una prominenza a venti pertiche dalla casa, in prospettiva del mare ».Nel 1809 il comandante della piazza del littorale, maggiore Tausch, aveva fatto scavare presso la torre sotto un lastrone di pietra ed aveva rinvenuto una quantità considerevole di vasi etruschi ed altri oggetti di pregio, tutti offerti ad un generale francese che allora comandava la Toscana. A destra ed a sinistra della strada che conduce alla torre, nel 1825 il tenente Antonio Calvelli aveva fatto fare altri scavi, raccogliendo vasi ed utensili di bronzo, e dopo di lui il colonnello Antonio Gherardi Angiolini Berti fece scavare, ancora, ritrovando altri numerosi e pregevoli oggetti. (Ricci). Il Prof. Luigi Milani, Regio Sopraintendente ai musei e scavi d' Etruria, ora defunto, raccolse diversi oggetti degli scavi durante la costruzione della ferrovia Livorno-Vada e li depose in un piccolo museo creato appositamente sul «poggetto» ove forse in antico era collocato un tempio pagano. Il museo è di proprietà comunale, costruito su terreno ceduto gratuitamente dal barone Fausto Patrone al Comune di Rosignano. Le spese di costruzione furono sostenute dalla Regia Soprintendenze dei musei e da concorso privato. Il museo ha la forma esterna di un'urna etrusca. Vi sono collocate le suppellettili di circa 200 tombe, la maggior parte delle quali a incinerazione, e spettanti ai secoli III°; II° e I° avanti Cristo. Sono vasi cinerari e di corredo funebre, dipinti, verniciati neri (campano - etruschi) e greggi di forme svariate; armi e strumenti di ferro, bronzo e vetro; cippi e stele di pietra ed una bellissima urna di alabastro nella quale è scolpito il ratto di Elena. Fa bella mostra pure un' ara circolare dedicata al dio Robigus, che sarebbe stato il protettore delle messi ed a cui erano sacrificate pecore e cagne. Il contorno dell'ara è istoriato con figure in bassorilievo, alcuna delle quali richiama quelle egiziane. Risulta da un atto stipulato il 25 Luglio 1181 tra due fratelli figli del conte Marco Visconti pisano, a favore di un altro loro fratello Ubaldo, che a Castiglioncello vi fu una chiesa antica dedicata a S. Bartolommeo e rimane il dubbio se non fosse quella stessa che altri ha denominato di S. Salvatore, perché non sembra verosimile che vi fossero due chiese, a meno che una non fosse una abbazia, di cui però non si ha traccia. L'atto predetto, col quale Lamberto e Tegrino fratelli e figli di Marco, col consenso del padre, davano e concedevano in sorte e divisione al loro fratello Ubaldo, i luoghi e la maggior parte del castello di Montemassimo e i diritti sulla corte di Nubila, fu rogato nel castello di Castiglione (Castiglioncello) presso la chiesa di S. Bartolommeo da Ugo, notaio dell'imperatore Federigo. Nel castello di Castiglione vicino al lido del mare, fu pure stipulato il 15 Marzo 1203 dal notaio Simone del fu Alberto un contratto col quale Ugolino e Cacciabote, figli del fu Gerardo, venderono a Leolo del fu Guiduccio un pezzo di terra vicino al castello di Montemassimo. A Castiglione ebbero, terre i Pannocchieschi della Sassetta, i conti della Gherardesca, ed i coniugi conte Enrichetto di Gianni da Donoratico e Teccia di Guido della Sassetta, come risulta dal loro contratto matrimoniale del 24 Luglio 1299 e da altro documento del 29 Novembre 1304. Si sa che Giovanna loro figlia, moglie di Gaddo Upezzinghi da Calcinaia, ebbe lite con altri eredi di suo padre, perché non fosse variata una sentenza di arbitri del 4 Maggio 1314, riguardo ai possessi di Castiglione Mondiglio, come da atto del 4 Marzo 1327. Il 12 Maggio 1422 fu pronunziata dal Vicario delle Colline di Pisa una sentenza per una questione sorta fra il Comune di Rosignano e gli Upezzinghi, a proposito di certi confini che separavano il terreno, pascolo e castello degli Upezzinghi, dalle proprietà del detto Comune. Fino da tempo remoto venivano dallo Stato pagati i custodi della punta (guardiani della torre) per i segnali da farsi ai legni armati, che vi passavano per mare. Cosimo I° de' Medici (1537 - 1564), duca e poi granduca di Toscana, costruì la torre attuale a difesa delle scorrerie dei pirati e da allora e fino alla costituzione del regno d'Italia, Castiglioncello fu presidiato da milizie. Sopra la porta della torre in una lastra di marmo, si legge tutt’ora: « Cosmus Med. Florentiae et Senar - Dux II°». Cinquant'anni fa (1875) in Castiglioncello attorno alla torre c'era soltanto la piccola chiesetta del 1621, la casa delle Guardie di Finanza ed una casa per il sacerdote. Sulla strada del littorale c'era un'altra casa ove ora sono i Simonetti, che era una osteria; la casa Faccenda sul botro, e la modesta villetta di Diego Martelli ove ora è il bel castello già, Patrone. Poi fu fabbricata la casa Dani, oggi eredi Pannocchia, e da 35 anni a questa parte si sono moltiplicate tutte quelle belle villette che fanno di Castiglioncello e di Caletta una ricercata ed amena stazione balneare piena d'incanto e di dolcissima armonia. Si ricorda fra le ville più complete la Casa Marina, splendida dimora del Sig. Guido Uzielli. (Nel parco omonimo) Castiglioncello però, anche quando era la solitaria e nuda punta; anche quando al deserto porticciolo non sovrastava che la povera casetta dei pescatori Aliboni di Antignano, racchiudeva in se tanto fascino con la trasparenza della sua luce, con la intensità dei suoi colori, con la vaghezza delle sue linee, che i più noti pittori d'Italia ne erano innamorati, attratti anche dalla amicizia ospitale di Diego Martelli, scrittore e critico d'arte, mente ed anima eletta. Si rammentano: Abati, una speranza dell'arte, che a Castiglioncello fu morso da un cane arrabbiato e miseramente morì; Fattori, Signorini, Ussi, Lega, Cannicci, Zandomeneghi, Cabianca, Gordigiani e tanti altri illustri, come gli scultori Cecioni, Fantacchiotti, Rivalta, ecc. Vi convenivano pure letterati, poeti, ed uomini politici, talché per una serie di anni Castiglioncello era divenuto un cenacolo della intellettualità italiana. Si rammentano: Guerrazzi, Carducci, Marianna Giarrè, Agostino Bertani, Sidney Sonnino, ecc.. Il sogno di Diego Martelli, proprietario del luogo, quello cioè di colonizzare Castiglioncello, fu realizzato dal suo successore, il barone Fausto Patrone, e la distinta colonia balneare ha continuato e continua tradizionalmente la collana di personalità spiccatissime. Si rammentano: Giovanni Marradi, Guido Biagi, Renato Fucini, Alfredo Straccali, Aurelio Ugolini, Luigi Milani, Conte Danieli, Secondo Borgnini, ora defunti. Tra i viventi, il pittore Vittorio Corcos, Giovanni Papini, ed altri. La ferrovia Livorno-Vada, costruita dalla Ditta Saverio Parisi ed inaugurata nell'estate del 1910, ha portato il suo sensibile contributo allo sviluppo di Castiglioncello, amenissimo luogo, nonché alla creazione di un altro sito balneare grazioso qual'è Quercianella in Comune di Livorno, e di ville sparse, silenziose e suggestive nel lungo mare di Campolecciano. Tutti questi luoghi sono ora in continuo sviluppo, sì che non sarà lontano il giorno nel quale si daranno la mano e l'uno sarà il proseguimento dell' altro, senza interruzione. Sulla torre di Castiglioncello, diventata proprietà del Conte Danieli fu apposta una lapide con questi versi del compianto Guido Biagi:

Veglia ai dolci riposi,

Veglia ai meriggi stanchi;

agli autunni piovosi,

ai verni algidi e bianchi.

Ma, poiché il tempo edace

su di tè non trascorre,

veglia a quest' erma pace,

vecchia, medicea torre.

Dalla "Monografia storica del comune di Rosignano Marittimo" di Pietro Nencini pubblicata nel 1925, scaricabile dal sito.

A Castiglioncello una vicenda a tinte gialle, mai risolta.
Chi trafugò i reperti etruschi durante i lavori nella galleria ferroviaria sotto la piazza?

L'hanno sempre detto, a Castiglioncello, e non con mezze parole ma con accenti risoluti: voce di popolo... Hanno sempre detto che qualche operaio, addetto ai lavori per la costruzione della ferrovia litoranea, si “fece d'oro” coi reperti etruschi affiorati in galleria. Sussurri e grida, dunque, su episodi circondati ancora da un alone di mistero.

La vicenda “a tinte gialle” avvenne realmente. Ne dettero conferma testimonianze attendibili. Sono restate a suffragarla in via ufficiale carteggi di irrefutabile contenuto. Anche se la questione restò irrisolta, mai svelato l'enigma. Forse ci sarebbe voluto Hercule Poirot od il Commissario Maigret per sbrogliare “il caso”. Gli investigatori del posto - e del tempo - si dimostrarono incapaci di far luce sui fatti. Eppure furono ripetutamente spronati da sollecitazioni di autorevoli personalità.

In data 29 maggio 1905 il Prefetto di Pisa si fece premura di indirizzare al Sindaco di Rosignano Marittimo una nota pervenutagli dal Direttore del Museo Archeologico di Firenze. Insieme alla lettera non mancò di esternare il personale e perentorio invito ad intensificare le indagini. Il documento, in maniera indiretta, ma indiscutibile è rimasto a chiarire che già nei primi mesi del 1905 i cantieri per la nuova strada ferrata erano in piena attività.

Lasciamo la parola al Direttore del Museo del capoluogo regionale:

“Com'è noto in occasione dei lavori ferroviari in Castiglioncello, fu trovata una tomba a camera con un'urna etrusca scolpita, di buona arte etrusca, che gli operai avevano tentato di trafugare, asportandola di nascosto.

“Il Maresciallo dei Carabinieri di Rosignano ha già opportunamente iniziato un'inchiesta sui dubbi da me e da altri esposti in ordine alla possibilità che gli operai abbiano compiuto il trafugamento di qualche oggetto, epperciò credo opportuno di mettere sull'avviso gli stessi Carabinieri affinchè scrupolosamente ed insistentemente indaghino se gli operai non siansi in realtà impadroniti dell'oreficeria ed altri oggetti che sono soliti a rinvernirsi dentro le urne scolpite, allorché d'arte più scadente ed in tombe meno importanti.

“L'urna raccolta, che tentavasi di trafugare, porta il nome etrusco di Velia Carinei e non è credibile che non contenesse oggetti preziosi più notevoli del semplice orecchino potuto recuperare nell'esplorazione del sepolcro.

“La tomba era vergine, quindi la mia presunzione del trafugamento ed il dubbio che manchino sia l'altro orecchino e l'anello d'oro dell'urna in parola e lo specchio di bronzo proprio di quel tempo.

“Come conclusione del mio studio sugli oggetti di detta tomba, dovrei confermare il giudizio che quegli operai abbiano dunque sottratto o tengano nascosti alcuni reperti, contro le prescrizioni delle leggi.

“Questa inchiesta credo opportuna come esempio a molti operai addetti ai lavori in corso a Castiglioncello perché, come finora si crede, hanno distrutto le tombe rinvenute, appropriandosi degli oggetti di qualche valore, nonostante le raccomandazioni dell'Impresa di segnalare subito le scoperte di oggetti antichi”.

Tutto facile, ha sempre asserito la gente, trafugamenti a man salva, quelli dei monili e di altre cose minute e di pregio. Era ben nota anche la procedura, messa in atto senza varianti da coloro che si occupavano degli scavi. Come affiorava dalla roccia un qualsiasi reperto, subito si provvedeva a nasconderlo in un anfratto già predisposto. Poi, a mezzogiorno, quando le donne castiglioncellesi venivano a portare il pranzo ai congiunti, altro non occorreva che passar loro la refurtiva. Questa spariva d'un tratto, sotto gli ampi vestiti femminili. Veniva sventato, così, anche qualche saltuario controllo, disposto alla fine del turno. Certo non ci voleva Poirot e neppure il Commissario Maigret per capire come andava la faccenda.

Il Sindaco Mastiani-Brunacci, lette le vibranti richieste dell'archeologo e le intimazioni prefettizie, visto che i Carabinieri non avevano ottenuto risultati nella loro inchiesta, pensò bene di passare la pratica al Delegato di Pubblica Sicurezza del capoluogo. Il tentativo, però, non dette frutti. Ecco infatti, in data 4 giugno 1905, la risposta del funzionario:

“Si restituisce la nota alla S. V. informandola che dalle accurate indagini praticate dal sottoscritto, insieme al Comandante della locale stazione dei RR. CC., non si è potuto ottenere qualsiasi piccolo indizio atto a far supporre che, dalla tomba etrusco rinvenuta a Castiglioncello, siano stati trafugati degli oggetti di valore.

“Da persone degne di fede si è avuta la certezza che i primi due operai, scopritori della tomba, asportarono soltanto l'urna ivi rinvenuta, e cercarono di nasconderla per sottrarla agli sguardi dei curiosi.

“Intendevano, poi, consegnarla al barone Patrone, verso cui hanno un certo rispetto, e subito dopo la tomba venne minutamente esplorata senza alcun risultato. Tuttavia le indagini continuano e nulla sarà tralasciato affinchè esse abbiano a stabilire se realmente in tale circostanza ebbero a verificarsi dei trafugamenti”.

Il Conte Teodoro Mastiani-Brunacci non si scompose. Letto il documento ordinò al segretario comunale di inviarlo in copia al Prefetto di Pisa, con lettera di accompagnamento e pari numero di protocollo (il 2262, categoria 10, Classe 5, Fascicolo 13).

Le dicerie della gente proprio non vennero divulgate a caso: esiste la prova... provata. Qualcuno, a Castiglioncello, “si fece d'oro” coi reperti etruschi. Comunque Velia Carinei, dopo qualche tempo, potè continuare il suo riposo sul promontorio. Il prof. Luigi Milani, Sovrintendente alle Antichità e agli Scavi per l'Etruria, propugnò infatti la costituzione del minuscolo Museo della località balneare, sorto su di un poggetto, fra il verde, e successivamente arricchito da altri cimeli non soltanto etruschi, ma anche romani e medioevali. Il terreno venne donato dal barone Patrone. La costruzione del piccolo fabbricato fu per metà a carico dello Stato e per metà frutto di donazioni private. Al custode, quali soli compensi, furono lasciate le... mance e il ricavato dei biglietti d'ingresso. Al momento del varo dell'opera, nella seduta dell'8 agosto 1910, il Consiglio Comunale sentenziò ad una sola voce: “Si approva, perché non ci sono spese per l'Amministrazione”. Ben detto. O meglio: ben scritto. (Da: "Quando la luna sorrise al lampionaio" di Celati - Gattini)

1932 - Museo archeologico, protezioni esterne agli abusi.

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