Rosignano S. ieri/Mulino del Fiaschi    

1955 - Il mulino rimasto vicino al Cloruro di Vinile 1960 - Il mulino rimasto vicino al Cloruro di Vinile 1967 - Il laghetto dell'ex mulino sotto il villaggio Aniene La targa del 1817 che ne ricorda la costruzione posta alla steccaia sul Fine Il Fine alla Steccaia con a sinistra la serra che ne rialza il livello La serra e le tubazioni ad arco dell'acqua proveniente dal lago di S.Luce Il lungo canale di collegamento fra steccaia sul Fine e gora del mulino (~1 km) Ipotesi ricostruttiva. Il canale di scarico defluisce anche oggi verso il Fosso Lupaio (Da Mulini del territorio livornese di Branchetti-Taddei scaricabile dal sito)

 

L'ex "Mulino del Fiaschi " o del "Fine" sulla gora diventata poi il laghetto dell'Aniene. Era il più grande del territorio. (Arch.Solvay, foto del sito, "Antichi mulini del territorio livornese" scaricabile dal sito)

  Al centro del fiume Fine, la paratia (o serra) in cemento alla "Steccaia" (presso la Variante Aurelia foto 5 e 6), ha la funzione di alzare il letto quanto basta per alimentare il lungo canale laterale (aldio o gorile, foto 7) che porta per dislivello l'acqua al laghetto ex mulino, poi ex Aniene. In foto 4 la targa con la dicitura "PFCO.BLASINI EDIFICO' L'A.1817" (Pierfrancesco Blasini edificò l'anno 1817) posta all'inizio del gorile. In quello stesso anno, l’1/3/1817, il Blasini aveva presentato istanza alla Comunità di Rosignano per costruire un mulino sul Fine; l’iscrizione conferma pertanto l’esito favorevole della richiesta. Non fu accolta invece l’istanza, presentata pochi mesi più tardi (20/9/1817 e 15/12/1817), da Antonio Pieri, proprio per le rimostranze avanzate dallo stesso Blasini il quale aveva già costruito il suo mulino. Le due grosse tubazioni a ponte unite da rinforzi trasversali che attraversano il fiume in questo punto, sono nate assai più tardi, con il lago di S.Luce nel 1960 e portano per dislivello l'acqua del lago allo stabilimento.
 Nella vasta pianura che si apre a sud-est del colle di Rosignano, lungo il corso del fiume Fine, furono attivi, in un arco di tempo compreso fra il XIII ed il XX secolo, tre mulini idraulici. Tra questi il più antico era l’opificio di Vada, citato dal Repetti e individuabile, a nostro avviso, nel mulino del “Riposo”; mentre l’impianto più recente è sicuramente il mulino della “Fine”, meglio conosciuto come mulino del “Fiaschi”. Tutti gli opifici sono oggi scomparsi e, fatta eccezione per i due citati, per il terzo - quello ubicato nella Valle di Camigliari - risulta oltremodo difficile, se non impossibile, individuarne l’esatta ubicazione. Il bacino posto sotto il poggetto dell'ex villaggio Aniene era nato per alimentare il mulino della Fine o del Fiaschi edificato da Pier Francesco Blasini nel 1817 come attesta un'iscrizione posta nei pressi della serra e ubicato sull'"Argine del Colle" di Rosignano. L’opificio era stato edificato in una posizione particolarmente favorevole, sull'”Argine del Colle” di Rosignano, nei pressi della strada che collegava Rosignano a Vada e soprattutto ad una distanza e ad una quota di livello tali da renderlo sicuro dalle frequenti tracimazioni del fiume. Le mappe del Catasto Toscano 72 (1823) lo rappresentano, munito di una grande gora e un lungo gorile, al centro di un sistema poderale costituito da numerose case coloniche. Oggi dell'impianto è rimasto il lungo gorile, cioè il fossato che dalla serra (paratia) sul Fine, alimenta il bacino delle foto che a sua volta azionava la ruota del mulino. Il Catasto Toscano del 1823 attribuiva la  proprietà dell'opificio al cavalier Francesco Mastiani ed ai suoi discendenti, ai quali rimase fino al 1914, quando passò a Lipparelli agabito e quindi ai Vestrini nel 1918, i quali lo affittarono fino al 1937, quando lo vendettero alla Società Solvay insieme a tutti i terreni della val di Fine, finendo inglobato nello stabilimento Aniene. Il mulino assai grande, era dotato di di ben sei palmenti (macine) dei quali tre su una ruota verticale e tre mossi da ruote a ritrecine (vedi mulini della Sanguigna). Dalle dimensioni desunte dal catasto e da quanto ancora oggi rimane dell’impianto idraulico (steccaia, gorile e gora) possiamo ritenere che l’opificio fosse il più grande del territorio livornese.
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In un “Bando per la vendita coatta di beni immobili con aumento di sesto”, emesso dalla Cancelleria del Tribunale di Pisa in data 10 maggio 1914, è riportata la descrizione del mulino e relative pertinenze: “Lotto XVIII - Mulino della Fine all’argine del Colle presso Rosignano Marittimo comprendente la diga murata per la presa di tutta l’acqua del fiume Fine, lo scaricatore e opere annesse, il canale di carico, i canali scaricatori, il bottaccio, il canale di fuga e gli argini laterali, il fabbricato ad uso di molino da cereali, tre palmenti ed i rispettivi ritrecini, una ruota idraulica in ferro, la casa di abitazione del mugnaio e i magazzini annessi, l’aia, i resedi e le parti di terreno coltivabile annessi ai fabbricati; uno stabbiolo grande per una decina di suini e tre cloache”
(ASLi, Catasto, 1743, anno 1914).
                                                                                                                       
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Secondo quanto ci riferisce Fiaschi Roberto (nato nel 1926), nipote di quel Fiaschi Augusto (Agostino) che nei primi anni del Novecento vi lavorava come mugnaio, il nonno ricordava con orgoglio “come quello fosse il mulino più grande della Toscana”. Da questa testimonianza si apprende inoltre, che:
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L’impianto era dotato di ben sei palmenti: tre azionati da una ruota verticale e tre mossi dalle ritrecini. La possibilità di rifornirsi di acqua dal Fine permetteva al mulino un funzionamento continuo anche durante i periodi di magra; così che gli altri mugnai della zona, durante le estati più siccitose, vi si recavano a macinare pagando il dazio. L’orario di lavoro, in genere, andava dalle cinque di mattina alle nove di sera. La grande ruota verticale (originariamente in legno, poi ricostruita in ferro) aveva un diametro di 14 m ed una larghezza di circa 80 cm; ogni cassetta era in grado di contenere fino ad 80-90 l. di acqua, che vi cadeva “per di sopra” mediante un canale in muratura sorretto da un arco, al cui interno alloggiava la ruota. La potenza massima sviluppata dal mulino era di 32 CV e la trasmissione veniva assicurata da due ingranaggi di cui il maggiore aveva un diametro di oltre 1 m, così che, in un minuto, a 10 giri della ruota corrispondevano 120 giri della macina, con una capacità produttiva di 1,5 q/h di farine. Un campanello, collegato alla tramoggia, avvertiva il mugnaio che il grano in essa contenuto stava per finire ed era tempo di fermare le macine del palmento per non farle lavorare “a vuoto”, situazione questa che avrebbe potuto farle toccare insieme con la conseguenza di rovinarle, L’edificio del mulino si componeva di tre piani: al terreno si trovavano gli ingranaggi; al 1° il piano delle macine; al 2° l’abitazione del mugnaio.
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L’impianto nel 1937, ormai di proprietà Solvay, vide cessare il lavoro della ruota idraulica in quanto l’acqua della gora serviva ai fabbisogni dello stabilimento, iniziava così un breve periodo di funzionamento a vapore, definitivamente abbandonato nel 1940 a favore dell’elettricità. I dati “ufficiali” ci dicono che la molitura idroelettrica dei cereali al Mulino del Fine era stata intrapresa dalla società di fatto “Fratelli Fiaschi fu Agostino” a partire dal 19 luglio 1928. Nell’ottobre 1934 la società si era sciolta, ma Ferdinando Fiaschi aveva continuato l’esercizio del mulino fino al 22 agosto 1941, giorno in cui, per scadenza del contratto di affitto, avveniva il sub-ingresso della “Soc. Solvay & C.”, che ne era già da alcuni anni proprietaria. Nell’estate del 1944 nella gora del mulino trovarono la morte per annegamento due soldati americ
ani appartenenti al reggimento “Engineers”, in quei giorni insediatosi nel reparto Aniene, rimasti chiusi all’interno del loro carro armato che si era bloccato cadendo nell'acqua durante una esercitazione. Il mulino smise di funzionare alla fine degli anni 50 (Fedora Guidi che abitava al vicino "Poderone" lo ricorda ancora attivo nel 1958) ed è stato demolito alla fine degli anni '70, dopo una decina di anni di uso come magazzino per il catalizzatore dell'adiacente reparto del Cloruro di Vinile. Il bacino è stato mantenuto in attività e contribuisce mediante pompa ad alimentare le necessità di acqua dello stabilimento, oltre a costituire una importante riserva antincendio per la rete della fabbrica. (Da:"Antichi mulini del territorio livornese" scaricabile dal sito)
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