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				DISCORSO DI S.S. GIOVANNI PAOLO II AI LAVORATORI  
				(versione integrale) 
				Carissimi Fratelli e Sorelle! 
				Eccomi finalmente fra voi in questo giorno, in cui la Chiesa 
				celebra la festa di San Giuseppe, esempio e protettore del mondo 
				del lavoro. Mi avete invitato: grazie! Ed eccomi ora qui per 
				testimoniarvi quanto interesse, quanta simpatia, quanto affetto 
				abbia la chiesa per voi lavoratori che, con la vostra quotidiana 
				fatica, offrite un indispensabile contributo al progresso 
				dell’umanità. Ritengo perciò particolarmente importante e 
				significativo questo incontro. Rinnovo il mio saluto al 
				Presidente della Società ed ai membri della Direzione Generale, 
				che mi hanno accolto con grande gentilezza al mio arrivo allo 
				Stabilimento; lo rinnovo pure ai membri del Consiglio di 
				Fabbrica ed ai Segretari dei Sindacati di categoria della zona, 
				che ho avuto il piacere di conoscere nell’incontro di poco fa, 
				al termine della visita al banco del vostro lavoro. Rivolgo poi 
				il mio saluto più caloroso a tutti voi, maestranze, operaie, ed 
				operai degli Stabilimenti Solvay, che avete voluto manifestarmi 
				la vostra sincera simpatia accogliendomi con spontanea ed 
				affettuosa cordialità. E penso ai lavoratori degli Stabilimenti 
				Solvay 
				delle altre zone, in particolare quelli della cava di San Carlo, 
				presso i quali non ho potuto recarmi di persona a motivo del 
				breve tempo a disposizione, ma che sono stati i primi ad 
				invitarmi. So che una loro numerosa rappresentanza ha voluto 
				essere qui presente. Sento il bisogno di esprimere loro il mio 
				apprezzamento per questo gesto affettuoso, ed insieme rivolgo 
				uno speciale saluto anche ai lavoratori di Ponte Ginori, che 
				pure sono con noi con una loro rappresentanza. Carissimi operai, 
				impiegati e dirigenti degli Stabilimenti Solvay, ho ascoltato 
				con grande attenzione gli indirizzi pronunciati dai portavoce 
				delle varie componenti del vostro complesso industriale. Ne ho 
				raccolto due chiari elementi: risultati e ansie. I risultati 
				sono stati da voi raggiunti mediante il concorde impegno, la 
				generosa dedizione e la ferma speranza, che vi hanno sorretto. 
				Ma avete altresì ansie per la difficile congiuntura economica e 
				per le ripercussioni che ne derivano sulla occupazione, sia 
				nell’immediato che in prospettiva; ansie per le tensioni che 
				agitano il Paese e per le esplosioni di violenza omicida; ansie, 
				infine, per le nubi minacciose che oscurano l’orizzonte 
				internazionale, a motivo della flagrante e spesso cruenta 
				violazione dei diritti umani, perpetrata in varie parti dell’uno 
				e dell’altro emisfero. Ho ascoltato ed ho apprezzato la matura 
				coscienza sociale, che in tali interventi si manifestava. Mi ha colpito, 
				in particolare, accanto alla franca denuncia di una società «che 
				rende l’uomo sempre più egoista, sempre più solo e sempre più 
				insoddisfatto», la volontà riaffermata di operare per la 
				costruzione di un mondo diverso, nel quale «al centro di tutto 
				non ci sia più il profitto e la sete di potere, ma l’uomo con le 
				sue esigenze di pace, di democrazia, di libertà». Mi compiaccio 
				con tutti voi, che avete saputo ben esprimere l’aspirazione, che 
				vi muove nel vostro impegno quotidiano, verso «un’effettiva 
				giustizia sociale ed il rispetto della dignità umana nel mondo 
				del lavoro». 
				Queste cose voi avete detto, quasi aprendo un dialogo con me, in 
				un incontro che non volete rimanga «fine a se stesso», ma che 
				desiderate abbia una sua continuità nel futuro, grazie anche al 
				contributo che dalle mie parole voi contate di trarre: sia per 
				perseguire con rinnovato slancio i risultati ottenuti, e le 
				speranze che li animano; sia per superare con animo forte le 
				ansie accennate. 
				Ebbene, io sono qui per corrispondere a questa vostra 
				aspettativa, sono qui per offrire, in adempimento del ministero 
				che mi è stato affidato, una risposta ai vostri interrogativi, 
				sono qui per farmi eco della voce della Chiesa, che condivide — 
				secondo le parole iniziali della Costituzione «Gaudium et Spes», 
				del recente Concilio, — «le gioie e le speranze, le tristezze e 
				le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di 
				tutti coloro che soffrono» (Cost. past. Gaudium et spes, 1). 
				Nei vostri interventi avete fatto riferimento diverse volte alla 
				Enciclica Laborem exercens, mostrando di apprezzare le 
				riflessioni che in essa ho esposto. Ve ne sono grato. Come 
				sapete, con tale documento ho inteso ricordare il 90° 
				anniversario della Rerum novarum, la grande Enciclica di Leone 
				XIII, che ha aperto la serie dei pronunciamenti della Sede Apostolica nel tempo moderno sui vari aspetti della 
				questione 
				sociale, realizzando come un grande colloquio «itinerante» con 
				gli uomini delle generazioni via via emergenti. 
				La Laborem exercens è in piena continuità con tale costante 
				colloquio col mondo operaio. In essa ho riversato anche la 
				diretta esperienza che ho fatto di questo mondo che è il vostro 
				e che fu anche mio. Sono stato, infatti, uno di voi. Quanti 
				ricordi sono affiorati alla mia memoria, mentre, visitavo, poco 
				fa, alcuni reparti di questo vostro grande complesso industriale, mentre gustavo la gioia di stringere la mano a molti di 
				voi, di scambiare qualche impressione, di osservare da vicino 
				gli ambienti entro i quali si svolge la vostra quotidiana 
				fatica. Sono passato accanto al banco del vostro lavoro e mi è 
				tornato spontaneamente alla memoria il tempo in cui anch’io, 
				dopo aver lasciato, a Cracovia, le cave di pietra di Zakrzowek, 
				entrai a lavorare alla Solvay, in Borek Falecki, come addetto 
				alle caldaie. 
				Quante cose sono cambiate da allora! Ho ammirato l’alta 
				tecnologia, di cui oggi si avvale la Società Solvay, che ha 
				progressivamente affinato nel corso di questi anni i 
				procedimenti di lavorazione. Ho visto quanto s’è fatto per 
				migliorare le condizioni di vita di quanti a tali procedimenti 
				contribuiscono con la prestazione della loro opera. Altri passi 
				restano certamente da fare su questa strada. Sarà grazie 
				all’impegno di tutti che tali passi potranno essere compiuti. 
				Quel che qui desidero riaffermare è che mi sento solidale con 
				voi, perché mi sento partecipe dei vostri problemi, avendoli 
				condivisi personalmente. Considero una grazia del Signore, 
				l’essere stato operaio, perché questo mi ha dato la possibilità 
				di conoscere da vicino l’uomo del lavoro, del lavoro industriale, ma anche di ogni altro tipo di lavoro. Ho potuto 
				conoscere la concreta realtà della sua vita: un’esistenza 
				impregnata di profonda umanità, anche se non immune da 
				debolezze, una vita semplice, dura, difficile, degna di ogni 
				rispetto. 
				Quando lasciai la fabbrica per seguire la mia vocazione al 
				sacerdozio, ho portato con me l’esperienza insostituibile di 
				quel mondo e la profonda carica di umana amicizia e di vibrante 
				solidarietà dei miei compagni di lavoro, conservandole nel mio 
				spirito come una cosa preziosa. 
				Cari fratelli e sorelle! La Chiesa, in forza del suo mandato 
				divino, vi è vicina, sta dalla parte vostra, perché essa è a 
				fianco dell’uomo, di ogni uomo. La centralità e la dignità della 
				persona umana spingono il Papa ed i Vescovi a proclamare la loro 
				sollecitudine per il mondo del lavoro. La Chiesa ha molto da 
				dire all’uomo del lavoro: non nelle questioni tecniche, ma nelle 
				questioni fondamentali e nella difesa della dignità e dei 
				diritti dei lavoratori. Essa proclama che la dignità del lavoro 
				fa parte della dignità dell’uomo; e tutelando la dignità del 
				lavoro, essa sa di contribuire positivamente alla difesa della 
				giustizia sociale. E se non le sfuggo i «risultati», raggiunti 
				giusto motivo della vostra fierezza, essa conosce poi troppo 
				bene le «ansie » e i che essi costano. 
				Come operai del settore industriale, voi siete inseriti 
				nell’ingranaggio del lavoro moderno che la forza inventiva del 
				genio umano ha ingigantito. Allo stesso tempo, però, voi siete 
				esposti sia alle più entusiasmanti che alle più pericolose 
				conseguenze di tale processo, non soltanto sotto l’angolatura 
				economico-sociale, ma anche sotto quella etico-religiosa. 
				Lo sviluppo della tecnica ripropone oggi in modo nuovo il 
				problema del lavoro umano. La tecnica, infatti che è stata d è 
				coefficiente di progresso economico, può trasformarsi da alleata 
				in avversaria dell’uomo. Essa, infatti, si presenta 
				contrassegnata da una evidente ambivalenza: da un lato ha 
				alleggerito la fatica dell’uomo ed ha moltiplicato i beni 
				economici attraverso una produzione massiccia; dall’altro, però, 
				con la meccanizzazione dei processi produttivi essa tende di 
				fatto a spersonalizzare colui che «esercita il lavoro», 
				togliendogli ogni soddisfazione ed ogni stimolo alla creatività 
				e alla responsabilità. Nell’attività industriale si incontrano in 
				effetti due realtà: l’uomo e la materia, la mano e la macchina, 
				le strutture imprenditoriali e la vita dell’operaio. Chi avrà la 
				preminenza? Diventerà la macchina un prolungamento della mente e 
				della mano creatrice dell’uomo, oppure questi soggiacerà ai 
				meccanismi impellenti dell’organizzazione, riducendosi ad agire 
				come un automa? La materia uscirà nobilitata dall’officina, e 
				l’uomo invece degradato? Non vale forse di più l’uomo che la 
				macchina ed i suoi prodotti? E' noto come l’era 
				tecnico-industriale abbia promosso innovazioni, profonde 
				trasformazioni radicali nella società. La presenza della 
				macchina nel mondo dell’impresa ha modificato non solo le 
				configurazioni tradizionali del lavoro, ma ha inciso 
				sostanzialmente sul genere di vita del lavoratore, sulla sua 
				psicologia, sulla sua mentalità, sulla sua coscienza e sulla 
				stessa cultura dei popoli, dando origine ad un nuovo tipo di 
				società. Con l’affermarsi, poi, della organizzazione scientifica 
				del lavoro e con le conseguenti catene di montaggio si è 
				accentuata maggiormente la situazione di alienazione dell’uomo e 
				la sua impossibilità di partecipare responsabilmente al lavoro 
				che esegue. In questi ultimi decenni, inoltre ha fatto il suo 
				ingresso nel campo dell’industria l’automazione, il cui 
				carattere innovativo, basato sulla elettronica e 
				sull’informatica, non sempre è pienamente a favore dell’uomo. 
				Nell’epoca moderna la consapevolezza che stanno acquistando gli 
				esseri umani, particolarmente i lavoratori e le lavoratrici, 
				circa la loro dignità va prendendo dimensioni universali. Tale 
				fenomeno è stato espresso sul terreno storico non solo mediante 
				la progressiva proclamazione e difesa dei diritti umani, ma 
				anche mediante il profondo desiderio di una più viva e più 
				concreta giustizia sociale. 
				Non è difficile rilevare come da ogni parte del nostro pianeta 
				salga oggi l’aspirazione ad una maggiore giustizia, in 
				connessione con le nuove
				condizioni dell’economia e con le nuove possibilità della 
				tecnica, della produzione e della distribuzione dei beni. La 
				percezione ed il bisogno di tale giustizia si fanno sempre più 
				insistenti ed accorati nella coscienza umana, che se riconosce, 
				da una parte, i «risultati» conseguiti, soffre dall’altra con 
				maggiore acutezza per le «ansie» causate delle discriminazioni e 
				carenze, che possono ledere le legittime aspirazioni dei 
				lavoratori. 
				In effetti, la giustizia sociale, nella visione cristiana 
				costituisce la base, la virtù chiave e il valore fondamentale 
				della convivenza socio-politica. Essa dirige e regola le 
				relazioni ed i rapporti dei cittadini verso il bene comune, in 
				una ottica, quindi, non puramente contrattuale e individuale, ma 
				comunitaria. Come tale essa rappresenta un diritto fondamentale 
				di tutti gli uomini, conferito loro dal Creatore, e confermato 
				dal Messaggio evangelico. 
				Superando le rigide delimitazioni della giustizia commutativa, 
				la giustizia sociale cerca pertanto di subordinare le cose 
				all’uomo, i beni individuali al bene comune, il diritto di 
				proprietà al diritto alla vita, eliminando ogni condizione di 
				esistenza e di lavoro che sia indegna della persona umana. 
				Eccoci, allora, carissimi fratelli, e sorelle, al punto centrale 
				del problema a cui è dedicato il nostro odierno incontro. 
				Non mi stancherò di affermare che l’economia e le sue strutture 
				sono valide ed accettabili unicamente se sono umane, cioè fatte 
				dall’uomo e per l’uomo. E non possono essere tali, se minano la 
				dignità di quanti — operai e dirigenti — vi esplicano le loro 
				attività; se snervano sistematicamente in essi il senso della 
				responsabilità; se paralizzano in loro qualsiasi forma di 
				iniziativa personale; se, in breve, non possiedono un senso ed 
				una logica umana. 
				Desidero ora accennare ad alcuni elementi che considero 
				essenziali perché l’ordine sociale sia realmente ispirato alla 
				giustizia nei riguardi del lavoro umano. 
				In una società che vuole essere giusta ed umana, il profitto e 
				il lucro non possono prevalere sull’uomo: è assolutamente 
				necessario che l’uomo rimanga il soggetto dell’economia e delle 
				diverse strutture di produzione. Ho scritto nella «Redemptor 
				Hominis» l’uomo «non può rinunciare a se stesso né al posto che 
				gli spetta nel mondo visibile: non può diventare schiavo delle 
				cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, 
				schiavo dei suoi prodotti» (n. 16). Iddio lo ha creato perché 
				sia signore e non schiavo del lavoro. 
				In questa esigenza di giustizia si debbono collocare il diritto 
				al lavoro e gli altri diritti dei lavoratori. 
				Il lavoro costituisce infatti uno dei grandi e fondamentali 
				diritti inalienabili dell’uomo, perché gli dona vita serenità, 
				significato. Mediante i lavoro l’uomo diventa più pienamente uomo e 
				collaboratore di Dio nel perfezionamento della natura. E' da 
				auspicarsi che tale diritto rappresenti veramente una realtà 
				concreta per ogni cittadino, un diritto promosso e tutelato dalla 
				società. 
				Procurare lavoro o impiego non  è compito facile; e tuttavia è 
				necessario affermare che in ciò sta un aspetto centrale ed un 
				impegno fondamentali dell’ordine politico ed economico. 
				Ho scritto della «Laborem Exercens» che la concreta verifica 
				della giustizia di tutto il sistema socio-economico e del suo 
				retto funzionamento rappresentata dal giusto salario. In 
				effetti il modo più consistente di realizzare la giustizia nei 
				rapporti di lavoro tra operaio ed imprenditore indipendentemente 
				dal tipo di sistema economico in cui l’attività si esplica, 
				è quello della giusta remunerazione. Mediante il salario viene 
				infatti generalmente aperta la via concreta di accesso ai beni 
				destinati all’uso comune. Adeguare il salario nelle sue molteplici 
				e complementari modalità così che si possa affermare che i 
				lavoratore partecipa realmente e equamente alla ricchezza, alla 
				cui creazione egli contribuisce in modo solidale sia nell’impresa 
				privata come nell’economia nazionale, è un postulato ed 
				un’esigenza di una economia sana al servizio di una effettiva 
				giustizia sociale. 
				L’attuazione delle proposte avanzate in campo cattolico al fine 
				di fare in modo che l’operaio possa considerarsi comproprietario 
				del grande banco del lavoro è un elemento base di quella 
				verifica, a cui ho sopra accennato: non soltanto affinché l’uomo 
				del lavoro trovi pieno appagamento nella sua aspirazione alla 
				giusta remunerazione, ma anche e soprattutto perché sia 
				salvaguardata la giustizia in tutte le strutture del processo 
				economico (cfr. Laborem exercens, n. 14). 
				Desidero ancora attirare la vostra attenzione su un altro 
				aspetto essenziale della giustizia sociale: e cioè la libertà di 
				associazione, per cui dev’essere riconosciuta ai lavoratori la 
				possibilità effettiva di partecipare liberamente ed attivamente 
				all’elaborazione e al controllo delle decisioni che li 
				riguardano, a tutti i livelli. L’esperienza storica dimostra — 
				come ho già affermato in altre occasioni — che tali associazioni 
				o sindacati sono un elemento indispensabile della vita sociale, 
				specialmente nelle moderne società industrializzate. Sorti per 
				difendere i giusti diritti degli operai nei confronti dei 
				proprietari dei mezzi di produzione, i sindacati, 
				particolarmente quelli del settore industriale, sono cresciuti 
				sulla base della lotta. Tuttavia, nei loro atteggiamenti di 
				opposizione sociale, essi devono dare essenziale risalto ai 
				valori positivi che li animano, al desiderio del giusto bene, 
				nel contesto del bene comune, alla sete di giustizia sociale, 
				non mai alla lotta «contro» gli altri, perché la prima 
				caratteristica del lavoro è quella di essere «per», di unire gli uomini; e qui vi è la grande forza sociale. E appunto attraverso 
				l’unione e la solidarietà che i sindacati hanno potuto tutelare 
				gli interessi degli operai ottenendo un salario giusto, 
				condizioni di lavoro dignitose, sicurezza per il lavoratore e la 
				sua famiglia. 
				I pubblici poteri, chiamati a servire il bene comune, debbono 
				considerare pertanto loro compito proteggere nell’ambito statale 
				queste associazioni attraverso leggi sagge; da parte loro i 
				sindacati devono tenere sempre adeguatamente conto delle 
				limitazioni che la situazione economica concreta generale può, a 
				volte, richiedere, nel quadro del bene comune dell’intera Nazione. 
				Voi tutti, cari fratelli e sorelle, siete giustamente desiderosi 
				che nei vostri cantieri, nelle, vostre fabbriche, regni la giustizia quale dimensione 
				fondamentale delle vostre attività lavorative. Non è 
				così? Ciò vi fa onore, ma certo non basta! Dal mondo del vostro 
				lavoro deve anche scaturire la soluzione per realizzare la giustizia sociale: 
				sono necessari sempre nuovi movimenti solidarietà tra gli
				uomini del lavoro e con gli uomini lavoro per creare l’unione dei 
				cuori, una unione costruttiva, sincera, animata dalla formazione 
				morale e da spirito di responsabilità. 
				«L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la 
				giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla 
				negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a 
				quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita 
				umana nelle sue varie dimensioni...Tale affermazione non 
				svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine 
				che su di essa si instaura: ma indica solamente la necessità di 
				attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che 
				condizionano l’ordine stesso della giustizia» («Dives in 
				misericordia», n. 12). 
				Voi sapete, infatti, che l’amore cristiano anima la giustizia, 
				la ispira, la scopre, la perfeziona, la rende fattibile, la 
				rispetta, la eleva, la supera; ma non la esclude, non la 
				assorbisce, non la sostituisce, anzi la presuppone e la esige 
				perché non esiste vero amore, carità senza giustizia, Non è 
				forse la giustizia la misura minima della carità? Ho ascoltato 
				attentamente la lavoratrice che ha parlato all’inizio di questo 
				incontro: ebbene, essa ha bene sottolineato la necessità di 
				cercare nel l’amore l’ispirazione per un impegno sociale più 
				pieno. Ritengo importante questa intuizione. Se infatti la 
				giustizia sociale dona una fisionomia umana all’impresa, la 
				carità le infonde lo slancio vitale della vera solidarietà. 
				Carissimi fratelli e sorelle! Nutro fiducia che questo odierno 
				incontro consolidi in ognuno di voi la sincera adesione al 
				Vangelo del lavoro, proclamato da Colui che, essendo il Figlio 
				di Dio fatto uomo, volle appartenere al mondo del lavoro manuale 
				presso il banco del carpentiere Giuseppe, sposo di Maria 
				Santissima. 
				Gesù guarda con amore il nostro lavoro, le sue diverse 
				manifestazioni, vedendo in ognuna di esse un riverbero della 
				somiglianza dell’uomo con Dio Creatore. Il lavoro è voluto e 
				benedetto da Dio: porta con sé non più il peso di una condanna, 
				ma la nobiltà di una missione, quella di rendere l’uomo 
				protagonista con Dio nella costruzione dell’umana convivenza e 
				del dinamismo che riflette il mistero dell’Onnipotente. 
				Al vostro lavoro guarda la Chiesa, la quale cerca, insieme con 
				tutti gli uomini di buona volontà di convalidare i «risultati» 
				ottenuti, e di trovare la risposta alle «ansie» che si agitano 
				nel vostro animo. La fede cristiana possiede l’arcano potere di 
				dare un’anima al lavoro, di conferirgli serenità, pace, forza, 
				razionalità facendone cos’ì un momento di crescita umana non 
				solo personale, familiare, comunitaria, ma anche religiosa. 
				E adesso consentitemi di rivolgermi a tutti voi che partecipate 
				a questo incontro, a tutti ed a ciascuno in particolare. Così 
				facendo penso, al tempo stesso, alle vostre famiglie, ai vostri 
				bambini, ai vostri figli, alle vostre spose, alle vostre mamme, 
				ai vostri ammalati, a tutti i vostri cari: so quale posto essi 
				hanno nel vostro cuore, so quale grande valore essi 
				rappresentano per voi. Per essi voi trovate nella fatica e nel 
				lavoro di ogni giorno la piena espressione e la misura spontanea 
				del vostro amore. 
				Amate le vostre famiglie! Ve lo ripeto: amatele! Siatene le 
				guide gioiose, la luce sicura, i vigili tutori contro i germi 
				della disgregazione morale e sociale, che purtroppo conducono 
				inesorabilmente alla decomposizione tanti nuclei familiari. 
				Aprite le vostre famiglie ai valori sociali, alle esigenze dello 
				spirito! La vita familiare deve essere esperienza di comunione e 
				di partecipazione. Lungi dal rinchiudersi in se stessa la 
				famiglia è chiamata ad aprirsi all’ambito sociale per divenire 
				mossa dal senso della giustizia, dalla sollecitazione verso gli 
				altri e dal dovere della propria responsabilità verso la società 
				intera — strumento di umanizzazione e di personalizzazione, 
				servizio al prossimo nelle multiformi espressioni di fraterno 
				aiuto, difesa e tutela cosciente dei propri diritti e doveri. 
				Aprite le vostre famiglie a Cristo e alla sua Chiesa! Non a caso 
				la famiglia cristiana è stata definita «Chiesa domestica», 
				«piccola Chiesa». Tra i suoi compiti, fondamentale vi è pure 
				quello ecclesiale di testimoniare il Cristo al mondo: «essa, 
				cioè, è posta al servizio dell’edificazione del Regno di Dio 
				nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa» (Familiaris consortio, n. 49) ed è chiamata 
				a diventare ogni giorno più una comunità credente ed 
				evangelizzante superando la tentazione di vivete pavidamente la 
				propria fede nell’intimità delle pareti domestiche. 
				Mantenete viva e costante la vostra sensibilità per il rispetto 
				della giustizia sociale nel mondo del lavoro, alimentandola e sostenendola con l’amore che è «il vincolo 
				della perfezione» (Col. 3,14). Regni sempre nelle vostre fabbriche, 
				nei vostri posti di lavoro, la serenità della modesta officina 
				di Nazareth, la serenità che proviene dalla coscienza di avere 
				compiuto quotidianamente il proprio dovere, la serenità che 
				rende il lavoro umano fattore di crescita e gli dà la dimensione 
				di vocazione feconda. La Chiesa è vivamente sensibile al valore 
				dell’ambiente «fabbrica», il luogo nel quale si realizza la vita 
				del lavoratore, — la vostra vita! — ma dove anche dovete portare 
				la fede ad incidere in modo costruttivo; farla diventare 
				operante. 
				Il Signore è qui con noi; non solo adesso; Egli è sempre con voi 
				al banco del vostro lavoro, per donare a tutti la forza 
				rigeneratrice del suo Vangelo, della sua grazia e del suo amore. 
				Non ignorateLo mai! Non emarginateLo mai! 
				Abbiate sempre, come meta della vostra attività, quella di 
				costruire un mondo più umano, più fraterno, più cristiano; la 
				volontà di creare forme più perfette di unione, di solidarietà, 
				di socialità secondo le esigenze dei tempi; l’ideale di crescere 
				in umanità, maturando ogni giorno di più nella giustizia e 
				nell’amore. 
				Per questo, tutti vi benedico! Tutti vi porto nel cuore, 
				lavoratrici e lavoratori della Solvay! E pregherò sempre per 
				voi, per le vostre famiglie, per il vostro lavoro, ricordando 
				sempre con commozione questo giorno bellissimo! San Giuseppe vi 
				protegga, la Ma donna vi aiuti; Cristo vi conservi nella sua 
				grazia!
				E sia lodato Gesù Cristo.  |