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                        29-12-1988 
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				Intervento dell’On. 
				Spadolini in Consiglio Comunale 
				 Il 
				Presidente del Senato partecipa all'ultima riunione annuale del 
				Consiglio Comunale di R.M. e con gli auguri, offre una 
				importante lezione di storia vissuta e interpretata 
				(versione integrale) 
                   “Sindaco, signori Assessori, 
				 signori Consiglieri, avevo previsto 
				tutto, tranne che la crisi  
				della voce, che è giunta inaspettata, 
				ed anche abbastanza a tradimento stanotte, come conseguenza dei 
				tempi diversi, dei climi diversi tra Roma, Firenze e Milano, 
				cioè tra le città cui è legata la mia vita politica, fiorentino 
				di nascita ed anche un pochino castiglioncellese di elezione, 
				lombardo e milanese sempre di voto popolare, romano per mandato 
				pubblico. Sono onorato di partecipare all’ultima seduta 
				dell’anno del C.C. di Rosignano Marittimo, luogo legato a tutta 
				la mia vita, perché volevo io stesso fare un personale omaggio a 
				tutti i Consiglieri comunali; l’omaggio, cioè di un volume che 
				non sarà mai messo in commercio e che io ho stampato solo per 
				gli amici, come altre volte; un piccolo volume che, alla fine di 
				queste mie parole, consegnerò a tutti i Consiglieri, come già 
				l’ho inviato al Sindaco, che raccoglie venti
				quadri su Castiglioncello dipinti negli anni fra il ‘30 e il 
				‘40, che sono anche gli anni in cui io, bambino, conobbi questa 
				costa. Quadri dipinti da mio padre, che fu vittima della seconda 
				guerra mondiale per la sua azione di coraggioso ufficiale della 
				Croce Rossa, nell’assistenza ai feriti del bombardamento aereo, 
				che era innamorato di queste terre ed ha dipinto soprattutto nel 
				‘35, cui sono legati i miei primissimi ricordi. 
				Avevo sei anni, sette anni, nel ‘32, quando cominciai a 
				villeggiare a Castiglioncello, ospite nella villa di mio zio 
				fisiologo, là sul Quercetano, a metà fra la villa Fucini e la 
				villa Biagi, come si chiamava allora, cioè i punti di partenza 
				della Castiglioncello macchiaiola. La piccola villa, che ancora 
				c’è, dove Renato Fucini, uno dei grandi scrittori italiani, a 
				metà fra i due secoli, scrisse “Le veglie di Neri”, e la villa 
				Biagi, oggi diventata una villa ultramodema, ma la ricordo 
				ancora nella sua struttura liberale e giolittiana, ancora fino 
				agli anni ‘50-‘55, creata da un grande promotore di cultura 
				dell’Italia liberale e giolittiana, Guido Biagi. 
				Personaggi di questa Castiglioncello che non era niente fino 
				allora, fino al Granducato: era soltanto una piccola base 
				medicea, un castello mediceo che aveva servito alla guerra 
				contro i pirati (perché c’erano i pirati) e una stazione di 
				posta dei Lorena che è l’unico palazzo anteriore all’unità, che 
				ancora è conservato con la limpidezza ed eleganza architettonica 
				che voi conoscete. Nel 1982, quando ero Presidente del 
				Consiglio, festeggiai le nozze d’oro con Castiglioncello. Vi 
				ricorderete un bel documentario che fece la televisione. 
				Ho pensato di rendere un omaggio più duraturo riunendo questi 
				quadri, uno dei quali il Sindaco già conosceva perché gli avevo 
				dato una copia, in quanto fu ritrovato fortunatamente ad un’asta 
				di Amburgo. Giungeva dalla Finlandia, dove mio padre aveva 
				venduto qualche quadro nel decennio ‘30-’40, ed era poi andato, 
				chissà come, ad Amburgo, e rappresenta proprio Monte alla Rena 
				di Rosignano basso, uno dei punti più suggestivi di questo 
				paesaggio. 
				Voi vedrete che il libro si chiama “Castiglioncello”, ma in 
				realtà comprende scene di Rosignano Marittimo, molto anche di 
				Vada, che io ricordo centro poverissimo in quegli anni e dove 
				viceversa mio padre si ispirava molto perché era facile per lui 
				andare a dipingere quando c’erano zone di assoluta solitudine, 
				non percorse né da turisti né da altri abitanti. 
				Io ricordo quella vecchia partita con la statua di Garibaldi, 
				che soltanto poco tempo fa il Sindaco cortesemente ha sciolto; 
				io, appassionato di Garibaldi e di Carducci sempre, non riuscivo 
				a capire, fin da bambino, perché era così trascurata, quella 
				scritta di Carducci sul monumento a Garibaldi, che col tempo, 
				con gli anni e coi decenni era diventata assolutamente 
				illeggibile, per cui la riprodussi in un volume su Carducci e 
				Garibaldi e chiesi all’ Amministrazione comunale di ripulirla; 
				il che è stato fatto ed oggi riusciamo a leggerla. Quel 
				documento, come diceva il sindaco, caratterizzante di un’intera 
				storia nazional-popolare di queste terre, che io farei rimontare 
				ancora prima di Garibaldi, ancora prima di Pietro Gori, della 
				tradizione anarchica e socialista, farei rimontare al padre di 
				Carducci, a Carducci medico condotto a Castagneto e a quegli 
				anni in cui fu affrontata in modo risoluto la tragedia della 
				malaria che in questa zona era stata così tremenda. 
				Ne parleremo stasera a Cecina per quel libro a cui ho fatto la 
				prefazione sul riscatto del cecinese nel ‘700. Ne parleremo se 
				conserverò ancora un filo di voce, se no qualcuno leggerà quello 
				che ho scritto nella prefazione del volume, che deve essere 
				sufficiente per illustrare anche i miei legami con Cecina, dove 
				arrivavo sempre in bicicletta, perché una delle mie grandi 
				passioni nel ‘35 - ‘40 era la bicicletta, con la quale riuscii a 
				vedere tutte queste terre perché sono tutte pianeggianti. Non 
				riuscivo ad arrivare a Rosignano Alto perché la salita era molto 
				forte; ci venivo qualche volta fino a quella Chiesina della Neve 
				che sarà recuperata e che è uno dei quadri che vedrete nella 
				raccolta. Allora accompagnavo - mi pare fosse il ‘36 - mio padre 
				per riprodurla. Fino a quel, punto si arrivava in bicicletta, 
				con un po’ di fatica, poi dopo bisognava rinunciare. 
				Allora l’Aurelia non aveva l’intasamento e la paralisi che ha 
				conosciuto poi: era un’Italia più povera, infinitamente più 
				povera di quella in cui ci troviamo. Io dico sempre ai miei 
				nipoti, che non hanno idea di cosa fossero i giocattoli di 
				allora, di una famiglia del ceto medio italiano, cosa fossero i 
				libri, i quaderni, la cancelleria, tutto infinitamente più 
				povero di quello che questi 40 anni straordinari della vita 
				italiana, così contraddittori, hanno assicurato al Paese. 
				Un mio vecchio amico del partito del Sindaco, un uomo della cui 
				amicizia io mi onorai, anche per i legami con la civiltà 
				liberal-democratica che incarnava, vorrei dire fisicamente, cioè 
				Giorgio Amendola, amava dire che l’italia era cambiata, nei 
				trent’anni che vide lui, dopo la Costituente - egli è morto 
				nell’ottanta - come modo di vita, molto più che nei duemila anni 
				successivi all’avvento del Cristianesimo; era una battuta che io 
				spesso ho citato ed evocato, e che poteva sembrare portata fino 
				ai limiti del paradosso, ma solo chi come me, avendo la ventura 
				di aver superato i 60 anni, può paragonare le due Italie, 
				l’Italia silvo-pastorale gran parte contadina, nonostante gli 
				avvii di una industrializzazione forzata e protetta, da Giolitti 
				fino al fascismo, e l’Italia di questi 40 anni, l’Italia 
				settima, o quarta, o quinta, o sesta potenza industriale del 
				mondo - cambia poco se è settima o quinta - ha veramente 
				l’impressione di una grande rivoluzione silenziosa di un popolo, 
				che ovviamente lascia aperti tutti quei problemi istituzionali 
				cui ha fatto riferimento il Sindaco. Per seguire il filo del 
				discorso, riprenderò proprio dalla patria del padre di Carducci, 
				Castagneto Carducci, per seguire quella vittoria che intorno al 
				1850-60 fu completa, quando sorse una città che non esisteva 
				prima, Cecina,che nel 1850 aveva 12 o 13 abitanti, ne aveva 100 
				nel ‘60 e poi mille nell’80, quella città che non era mai nata 
				perché abbassarsi a quel livello voleva dire morire; e allora ci 
				sono tutti i racconti del ‘500, quando si partiva da Vada per 
				venire a Rosignano, una volta i Medici sbagliarono misura e morì 
				insieme al Cardinale Garcia, la Eleonora per quel male 
				misterioso ed incurabile che fu fronteggiato solo quando, a metà 
				del ‘700, uno dei Ginori, predecessore dell’autore scomparso del 
				libro, ebbe il coraggio di fare quell’attuale edificio militare 
				a Cecina, quella specie di forte, che consentì poi di vincere la 
				battaglia con i Granduchi, con Pietro Leopoldo soprattutto, per 
				la redenzione della terra e iniziò la trasformazione, e consentì 
				anche a Vada, a Rosignano, che non erano propriamente comprese 
				in quella zona, di emergere come luoghi non solo di miseria, ma 
				come luoghi poi di lotte, per l’emancipazione del lavoro e per 
				la conquista di nuovi aspetti politici e sociali. 
				Il mio ricordo di storico abbraccia tutte queste terre, da 
				Cecina a Vada, a Rosignano, a Castiglioncello, questa apertura 
				straordinaria e fantastica della Maremma, questa terra che 
				anticipa la Maremma e non è formalmente Maremma, e che è stata, 
				nella storia della civiltà toscana, italiana, una zona di 
				maggiore sofferenza, di maggiore lotta contro la natura. Il che 
				spiega anche il così vigoroso diffondersi, all’origine, di 
				quella che era in qualche misura la gloriosa e generosa utopia 
				anarchica, che qui fiorì e fiorì insieme - lasciatemelo 
				ricordare come rappresentante del Partito Repubblicano - con la 
				protesta istituzionale repubblicana che fu sempre forte in 
				questa terra, per i vincoli che sempre unirono anarchismo e 
				repubblicanesimo, non solo qui, ma anche in altre parti della 
				Toscana. Basterebbe ricordare tutta la zona di Carrara e tutta 
				la zona delle cave di marmo di Carrara. 
				Prima di rivolgere una risposta di ordine politico al Sindaco, 
				che ha toccato un tema sul quale io non posso non dargli un 
				cenno di consapevole ricezione, mi consentirete di leggervi le 
				due pagine introduttive che come augurio io ho formulato in 
				questo libro, perché riassumono per intero il mio pensiero su 
				questa zona e le ragioni di questo libro, che poi vi donerò. 
				“Castiglioncello. Piccolo porto di origine medicea, con una 
				sola stazione di posta dei Lorena. 
				Un minuscolo centro abitato che Diego Martelli scelse, agli 
				inizi dell’ Unità come luogo d’incontro fra gli artisti: suoi 
				ospiti in un ‘Casone’ estivo, ed essi ripagavano l’ospitalità 
				lasciando quadri e bozzetti. Un fulcro, predestinato e coerente, 
				della pittura macchiaiola, abbracciante il grande magistero di 
				Giovanni Fattori. Una stazione ferroviaria dell’italia liberale 
				e umbertina, con annesso un presuntuoso castello di ispirazione 
				falso medioevo: vicinissimo il romitiano eremo di Sonnino, 
				l’accigliato “leader” moderato, l’ anti-Giolitti. Verso la fine 
				dell’ottocento, il luogo scelto da artisti diversi, che si 
				chiamavano Corcos e Fucini, e dove l’autore delle “Veglie di 
				Neri” dispiegherà intera la sua vena di narratore autentico e 
				penetrante. Un’ oasi di serenità e quasi di riparo dalle 
				intemperanze e dalla violenza della polemica politica e 
				culturale. Un ”porto franco” nei litigi che corrosero tanta 
				parte dell’“intelligentia” italiana dopo la prima guerra 
				mondiale, e fra le due guerre. Nel mio ricordo Castiglioncello: 
				un’infanzia popolata di fantasmi. L’itinerario prediletto per la 
				pittura di mio padre, che si muoveva nella tradizione un po’ 
				divisionista e un pò macchiaiola. Il luogo da dove egli trarrà 
				tanti motivi di stimolo sia per la sua vena di pittore, sia per 
				la sua vena di acquafortista, evocati in queste pagine. Un luogo 
				in cui la passione per la natura - già segnata dai trasalimenti 
				dell’avanzante Maremma identifica col ripiegamento una zona 
				intatta, ancestrale, riservata alla fantasia e alla poesia. 
				Età favolosa. Penso ad un abitante estivo di Casciglioncello, 
				Luigi Pirandello: personaggio così popolare e domestico, che gli 
				dedicai un articolo nel giornalino manoscritto che facevo al 
				ginnasio. 
				Si può dire che avessi conosciuto Pirandello, forse senza 
				stringergli mai la mano, proprio nella prima estate di 
				Castiglioncello, intorno al 1932, il primo anno che passai sullo 
				sfondo di quel paesaggio singolare così legato alla mia vita. 
				Pirandello abitava ‘n una piccola casa di via Diego Martelli, 
				vicino ai centri sacri della tradizione macchiaiola, che si era 
				immedesimata col paese, con le sue mura, con i suoi angoli, con 
				le sue ombre. Scendeva rempre in piazza con Marta Abba, così 
				minuta; così devota accanto a lui. Portava un grande cappello 
				bianco. Sedeva lunghe ore ad un tavolino del caffè “Deri”: 
				rispettato da tutti, ma non disturbato da nessuno. 
				“Nobilitas naturalis”, avrebbe detto Guglielmo D’Orange. 
				Incuteva una naturale soggezione. Non era mai accattivante, 
				nulla faceva per diventare ammiccante. Guardava anche i bambini 
				(io avevo appunto sette anni) con l’occhio di amarezza un po’ 
				mefistofelico, che rendeva il labbro impenetrabile, il sorriso 
				enigmatico. In quell’ occhio di Pirandello - come lo ricordo 
				ancora oggi, tanti anni dapo - c’era un senso di tragicità, una 
				nota di irrisolto mistero, penso a Manzoni: 
				quell’ occhio non si poteva dimenticare e infatti non l’ho 
				“dimenticato.” 
				Questa é la mia testimonianza, che porta il mio augurio di 
				Buon Natale e buon anno che rinnovo di cuore a tutti i 
				Consiglieri, e per loro tramite alla popolazione di Rosignano e 
				delle sue varie frazioni, da Vada a Castiglioncello. Non senza 
				assicurare che un significato l’ha il fatto che questo’ 
				incontro, sia pure sollecitato da motivi di memoria o di fedeltà 
				familiare, coincida con lo stesso giorno in cui fu firmata la 
				Carta Costituzionale, perché chi vi parla detiene oggi il 
				possesso pro-tempore della stanza dove si firmò la Costituzione. 
				Palazzo Giustiniani fu la sede scelta dal primo capo provvisorio 
				dello Stato, Enrico De Nicola, che aborriva dai grandi saloni 
				del Quirinale e voleva segnare un qualche distacco fra la 
				tradizione monarchica che si innestava sull’antica tradizione 
				papale - e la Repubblica che nasceva, con una linea di austerità 
				e di severità, per cui nel piano dove abito adesso come 
				Presidente del Senato, allogato come sede provvisoria per il 
				Capo provvisorio dello Stato, stavano 60 persone dove ce ne 
				possono stare sì e no dodici o tredici; e il Capo Gabinetto di 
				De Nicola dormiva insieme all’ufficiale di ordinanza militare; 
				per dirvi la povertà di quei tempi, cui è sempre bene guardare 
				come esempio e come modello da non dimenticare. 
				De Nicola portava forse fino all’esasperazione questa sua 
				passione di dividere il denaro pubblico da quello privato, 
				infatti morì poverissimo. E io ho ritrovato a Palazzo 
				Giustiniani le tracce di quando egli, ogni lettera di ordine 
				privato che scriveva, personale, la sottraeva alla affrancatura 
				dello Stato e coi propri francobolli provvedeva ad inoltrarla. E 
				quindi la stanza della Costituzione, quando fu firmata - la 
				televisione l’ha rievocato - quattro firmatari: De Nicola, De 
				Gasperi, Presidente del Consiglio che aveva avuto un ruolo 
				essenziale nel trapasso fra monarchia e repubblica, evitando i 
				rischi che ci furono della guerra civile. Ricordate 
				l’insurrezione o quasi di Napoli, nelle ore in cui uno sbaglio 
				di decisione politica aveva diviso l’Italia in due. Umberto 
				Terracini, Presidente della Costituente, che per tanti anni è 
				stato eletto, se ricordo bene, in questa Circoscrizione, un uomo 
				di grandissimo rigore morale, di grande austerità intellettuale, 
				militante comunista fin dalle origini di Livorno, non smentì mai 
				la sua identità ebraica e partecipammo insieme, qualche volta, a 
				manifestazioni per rendere più facili e più tollerabili le 
				condizioni degli Ebrei nell’Unione Sovietica. Fra i tanti titoli 
				di merito di questo combattente per la libertà, per la 
				democrazia, io voglio ricordare anche le battaglie contro il 
				razzismo, una delle maggiori vergogne che hanno colpito 
				l’umanità. Presidente della Costituente non dall’inizio, perché 
				tutti voi ricordate che il primo era stato Saragat, il quale 
				poi, con Palazzo Barberini, si era ritenuto non più in posizione 
				politica di superiorità e di imparzialità necessaria per coprire 
				la carica di Presidente, insieme, di Camera e di Senato, perché 
				la Costituente ha definito l’origine bicamerale, ma in quel 
				momento era un organismo monocamerale, che gestiva entrambi i 
				rami del futuro Parlamento. E controfirma, tecnica, ma anche 
				politicamente indicativa essa pure, del guardasigilli del 
				Governo, che era un vecchio liberale giolittiano della Puglia, 
				Giuseppe Grassi, di quella parte liberale che non aveva 
				collaborato col fascismo e che era rimasta sulle posizioni di 
				Giolitti. Abbiamo rievocato alcuni giorni fa questa 
				straordinaria scena di 40 anni fa, donando una fontana 
				riscoperta da poco, dell’epoca egizia, alla città di Roma e 
				chiedendo al Sindaco che fosse chiamata, quella Piazza, ‘Piazza 
				della Costituente’, che fu un termine caro anche a questa 
				regione di Livorno per l’alto ‘48, quando la Costituente fu 
				proprio una delle battaglie mosse da Livorno contro Firenze nel 
				periodo della grande rivoluzione nazionale. E uno degli apostoli 
				della Costituente era un professore dell’Università di Pisa, che 
				fu poi il capo della resistenza dei soldati studenti a Curtatone 
				e Montanara, cioè Giuseppe Montanelli. 
				E per dirvi come erano capricciosi i nostri predecessori di 
				queste parti, questa costituente, per cattiveria, veniva 
				definita “la moglie di Montanelli”. Molti l’avevano scambiata 
				per la moglie, non sapevano nemmeno esattamente cosa era la 
				Costituente. Così è nata la storia italiana. 
				Oggi la Repubblica unisce la celebrazione delle sue origini con 
				una specie di check-up sul suo stato di salute. E io sono pronto 
				a dichiarare all’amico Sindaco che da parte mia ci sarà tutto 
				l’impegno perché, fra le prime questioni di attuazione 
				costituzionale, ancora pregiudiziali, ci sia quella della legge 
				nuova per le Autonomie, che io, Presidente del Consiglio, per la 
				verità presentai in tempo utile nel 1982, che fu ripresentata 
				tale e quale dal Governo Craxi nel 1984, e che non ha superato 
				né i limiti dell’ottava né quelli della nona legislatura 
				repubblicana. 
				E’ assolutamente indispensabile che lo Stato definisca, in 
				maniera diversa dal 1865, (perché questa è la sostanza: la legge 
				comunale e provinciale è ancora figlia della, vecchia destra 
				storica, che era profondamente e radicalmente diversa da quella 
				di oggi) i propri ordinamenti interni, anche di fronte ad una 
				nuova realtà legislativa che è la Regione. Qui abbiamo un cozzo 
				fra leggi regionali e leggi statali che sta diventando 
				intollerabile; una duplicazione di legislazione che è 
				impossibile mandare avanti così, e una necessità di 
				rivitalizzare il Comune, che è la base della libertà italiana, è 
				la base della democrazia e dell’autogoverno del popolo. 
				Noi dobbiamo affrontare questo, e io l’ho messo nel programma di 
				Palazzo Madama con priorità assoluta. Tutti i partiti, non 
				escludo nessuno, non hanno più attenuanti, adesso, rispetto allo 
				stato della coscienza popolare. La coscienza popolare in questo 
				campo è molto più avanti dei partiti. Bisogna adeguarsi, perché 
				grave è il giorno in cui i partiti non riflettono lo stato di 
				maturazione del Paese. 
				Il Paese non vuole ribaltare la Costituzione, non vuole nessuna 
				seconda Repubblica, come ho detto giorni fa. Il Paese vuole la 
				Repubblica che è una sola e che sia in grado, con leggi proprie 
				e tempestive, di adempiere ai motivi per cui, in mezzo al 
				consenso popolare, all’inizio affaticato e sofferto, nacque 40 
				anni fa. 
				Questo è il nostro dovere di legislatori e io, nei limiti delle 
				mie forze e nella consapevolezza che la presidenza di assemblea 
				è una carica di estrema rappresentatività, ma non direttamente 
				esecutiva, e quindi deve fondarsi sui fatti dei partiti del 
				Governo, non mancherò di stimolare i partiti e il Governo perché 
				questo adempimento, di una nuova legge comunale e provinciale, 
				sia realizzato in tempi molto rapidi e perché sia messo alla 
				base dell’eventuale ripensamento e correzione anche di alcuni 
				aspetti del rapporto Governo-Parlamento, compresi certi ritocchi 
				che si porranno al sistema camerale. Sarebbe assurdo che noi 
				decidessirno prima quello che facciamo dal vertice del 
				Parlamento, quando non abbiamo stabilito la connessione tra lo 
				Stato e le autonomie, sia quelle produttive di legislazione sia 
				quelle viceversa che non hanno potere legislativo diretto. 
				Questo é il primo compito che spetta a tutti noi e mi auguro che 
				il quarantennale della Repubblica prepari per la fine del secolo 
				la firma che veda risolti tutti questi problemi. Di nuovo auguri 
				a tutti. 
				                                                                                  On. Giovanni Spadolini 
				Presidente del Senato  |