Maurizio Tafi, nato
nel 1927, comincia a fare il
boscaiolo come il padre, insieme al fratello Lorenzo, quindi
come figlio di legnaioli e carbonai
ha lavorato di braccia fin dall'infanzia nell'attività di
famiglia. Uno
di quegli uomini che oggi va di moda chiamare "self made man" cioè
fatti da soli, un personaggio singolare caratterizzato da una
volontà ed una forza fisica rara. Forza e volontà dedicati poi fin dal
1950 alla costruzione del proprio stabilimento balneare sui resti
di un primitivo porticciolo etrusco, ricavandolo a forza di pala e
piccone da una scarpata rocciosa, dall'aspetto inaccessibile, ma
in uno dei punti migliori del
promontorio. Ostinato e convinto, è riuscito a costruire uno dei
bagni più belli e più grandi di Castiglioncello, e più tardi nel 1987,
l’omonimo rimessaggio per imbarcazioni alle Morelline di Rosignano
S. Sempre giovanissimo, in estate, quando il lavoro nei boschi
diminuisce, diventa bagnino
ai bagni ”Italia” del Quercetano, di proprietà della zia insieme ad un altro
coetaneo, Alberto Lami che ricorda: "levatacce per sistemare
gli ombrelloni e poi la mamma di Maurizio ci portava la colazione,
una tazza di caffèlatte e cinque bomboloni". Su questi ricordi ha
scritto anche una delle sue poesie in vernacolo ”La pentola di
caffèlatte”. "Quando il Tafi ha iniziato l'impresa per me
ciclopica della costruzione del bagno sull'altro versante del
promontorio, la zona era nota come ”la granchiaia”, essendo un arenile di ghiaia, pieno di granchi. Il
suo era un progetto ambizioso, ma è riuscito in pieno, grazie
unicamente ad una invincibile determinazione”. Oltre al mare,
altra grande passione di Maurizio Tafi è il sigaro. Impossibile
non ricordarlo nelle sere estive, seduto sulla sdraia, là in
cima al molo di sassi, dinanzi alle onde, con l’immancabile
toscano tra le labbra, pronto a dare un buon consiglio a chiunque
ed una infallibile previsione del tempo. Per il mitico Maurizio
l'avventura si chiude improvvisamente a gennaio 2007 nella sua
casa di via Lorenzini,
un pezzo di storia di Castiglioncello che ci lascia, aveva 79
anni. Dal 2007 l'attività è portata avanti dalle due figlie Sabina
ed Alessandra.
IL MITICO TAFI Maurizio Tafi (1927)
Se fosse vissuto al
tempo degli antichi greci Omero avrebbe dovuto trovare le rime
per il Tafi invece che per il Telamonio Aiace e forse la
mitologia avrebbe dovuto aggiungere un settimo fratello ai
grandi Titani.
Quando apparve a Portovecchio incominciò, con mazza e piccone, a
tirar via la miriade di piane che affioravano tra i tre scogli
(allora erano veramente tre) e la granchiaia. La gente si
fermava sulla passeggiata e scuoteva la testa pensando che non
ce l'avrebbe mai fatta. Il risultato è oggi visibile e non c'è
troppo da credere che tutto abbia fatto con le proprie mani. Noi
ragazzi, all'ora del bagno, dovevamo raccogliere i sassi e
metterli in una rete di metallo che poi lui tirava su col fido
Amerigo, un pontone in legno, semplice e robusto a sua
somiglianza. Con questo ci si guadagnava il diritto a
frequentare la "sua" spiaggia e ad attendere, all'imbrunire, con
tutti i villeggianti, il momento in cui si buttava in acqua,
quando ormai il "maestrale" era calato e la superficie del mare
era liscia e oleosa. Per un po' vedevi le robuste braccia che,
alternativamente, con movimento lentissimo passavano sull'acqua
e ad ogni passaggio la testa che appena affiorava avanzava di un
paio di metri. Per noi ragazzi era il simbolo della fierezza,
della forza, della semplicità e della lealtà. Si rideva per il
modo sornione che aveva di raccontare le cose inventando parole
e tirando sagrati, ma chi di noi non ha poi usato il neologismo
"incatagnato" che lui inventò, un giorno, per spiegare alla
sorella del presidente Gronchi che certi massi erano incastrati
tra loro? Certi aneddoti son passati come leggende eppure, anche
se è difficile crederci, erano parte di una realtà che solo uno
come lui si poteva creare. Come quando passando in motorino di
notte, dopo aver dato fondo a non so quanti ponci, sbarbò
colpendolo col ginocchio, uno di quei panettoni in cemento che
impedivano alle macchine di entrare nella pineta. La sera dopo
era ancora al bar a giocare a biliardo con un pezzo di grondaia
legato con una cima attorno alla gamba. Allora era giovane e il
suo sogno era di avere per un giorno un Caterpillar con la pala
larga otto metri (che qualcuno gli disse esistere in America).
Lui allungò le braccia di fronte a sé, parallele, mirò verso la
collina e disse: "se me lo portano qui faccio il porto fino alla
farmacia!". Oggi di anni ne ha di più, ma ha ancora un fisico da
lottatore o da gladiatore, se ne sta lì, in alto, nella cucina
a controllare il "suo" porto, il piatto della pastasciutta
vuoto e il bicchiere di vino a mezzo e al terragnolo che si è
comprato il ferro da stiro di 12 metri che gli chiede, come a un
oracolo: "icchè pensa sor Tafi, o che c'è da fidarsi a andare a
i'ffaro?" lui risponde dopo aver guardato l'orizzonte e fiutato
l'aria: "con queste bafagne, ragazzi,'r tempo fa culaia!".
Dal volume "Castiglioncello la razza de' Caini e
altre storie" di Castaldi e Marianelli scaricabile dal sito.
La pentola di
‘affellatte
Appena ‘r sole
c’accendeva ‘ilume
e ‘r Quercetano ‘ndossava ‘pantaloni
ir Tafi ‘ome ‘n treno senza dune
in tre balletti piantava l’ombrelloni
e
mentre ‘r Bagno Italia era finito
ner gran silenzio che ‘r mare ‘nterrompeva
lui si guardava ‘ntorno a cuor beato
guardando la Cesira che scendeva
come la
mamma da la puppa ‘r bimbo
con quell’amore delle donne fatte
Cesira poverina era ne’ ‘llimbo
e la su’ puppa era ‘r caffellatte
co’ la
pentola legata cor cordino
andando piano perché un traboccasse
nell’artra mano stringeva ‘n sacchettino
con quattro frati perché un abbondasse
ir Tafi
lo ‘nfiorava quer banchetto
co’ l’amor che la mamma avea ner viso
e prima che nessun l’avesse detto
da’ ‘ilimbo la mandava ‘n Paradiso
intanto
lui senza ‘vè studiato
voleva diventà’ imprenditore
e senza guardà’‘n faccia ‘r compriato
riuscì co’ la mazza a fa’ l’attore
di
‘uelli muti, senza sparge’ ‘r vento
co' la forza der toro che un abbaia
ha tramutato ‘r sasso cor cimento
concretizzando ‘r sogno alla ”granchiaia”
(Alberto Lami per gentile concessione)
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