Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da "La Stampa" del 12-08-2001 di Masolino d'Amico

Marcello fai un pernofono a Fellini      Bice Valori e le lunghe estati di Castiglioncello
 

Da più di mezzo secolo io passo la maggior parte possibile dell'estate a Castiglioncello, dove la prima della famiglia a mettere piede fu, dice la nostra tradizione, una mia nonna ancora nubile, intorno al 1910, quando suo padre, il quale amava villeggiare negli alberghi davanti al mare e pertanto da Roma si spingeva fino in Liguria, scoprì che ve ne avevano costruito uno: ora gli sarebbe bastato prendere la ferrovia fino a Livorno e poi una carrozza. In seguito mia nonna convinse mio nonno a venire a Castiglioncello coi loro figli, anche se non riuscì mai a fargli comprare una casa. Il nonno trovava più comodo affittare - diceva che la casa sarebbe stata un vincolo: «Se cambiassimo idea e ci venisse voglia di andare in qualche altro posto?». Ma la famiglia d'Amico non cambiò mai idea, e anzi negli anni convinse molti altri residenti di Roma a affrontare l'atipico viaggio - tra gli intellettuali che la seguirono  ci furono Massimo Bontempelli, Luigi Pirandello e Emilio Cecchi. Con Bontempelli non ci imparentammo, in compenso entrambe le due nipoti di Pirandello, figlie di Lietta, si unirono rispettivamente a mio zio Sandro e a suo cugino Luigi Filippo; in precedenza si erano sposati mia madre, figlia di Emilio Cecchi, e mio padre, al quale una estate era stato chiesto di darle ripetizione. Un'altra famiglia radicata a Castiglioncello e proveniente da Roma erano i Valori, che a differenza della mia si erano costruita una villa chiamata «Il Cantuccino», con ribobolo di cui la generazione più giovane si sarebbe poi un po' vergognata - e il cui capostipite Aldo, giornalista e storico, era peraltro nato a Firenze. Toscana era anche sua moglie, battezzata Etre per far dispetto al prete (i fratelli si chiamavano Euno e Edue), ma poi diventata cattolicissima; nati a Roma e comunque parlanti una limpida lingua toscana in bocca romana erano invece i cinque figli. Questi da adulti formarono un assortimento singolare: un funzionario governativo, un sacerdote gesuita, una professoressa, un architetto specializzato in urbanistica, e una attrice. L'attrice era la più piccola, Bice, che unica in quel contesto non aveva mai avuto voglia di studiare. Costretta a iscriversi all'Università, aveva provato a dare un solo esame, geografia, durante il quale, raccontava, il docente aveva chiamato dei colleghi a sentirla come un prodigio. «Mi faccia un esempio di conifera», le chiedeva per esempio. E lei, tutta seria: «La patata». Con tali risultati aveva strappato il permesso a iscriversi all'Accademia d'Arte Drammatica, dove invece aveva fatto benissimo, e dove aveva incontrato e sposato Paolo Panelli. Naturalmente aveva portato a Castiglioncello il marito, e con lui anche la sua amica del cuore Flora Carabella, insieme col coniuge Marcello Mastroianni. Col tempo entrambe le coppie si sarebbero anche loro fatte la casa, ovvero la villa. Come me e le mie sorelle, che eravamo molto più giovani ma che saremmo stati gli ultimi a venir su così, Bice era stata abituata alle villeggiature lunghissime, da giugno a ottobre, sempre nello stesso posto, dove quasi con gli occhi degli indigeni si assisteva al nascere, al fiorire e al lento declinare della bella stagione; a settembre le scuole allora cominciavano tardi - era una gara a chi resisteva di più, anche dopo la chiusura degli stabilimenti. I villeggianti che avevano attività normali le avevano riprese da un pezzo, rimanevamo noi i cui genitori lavoravano a casa - in particolare mia madre affittava sempre una certa villa molto grande allo scopo di ospitarci gli sceneggiatori con cui era impegnata (più fuggevolmente i registi, che l'estate erano sul set) - e Bice, che rinviava al massimo i suoi impegni teatrali o televisivi. Perché stare a Castiglioncello fosse così importante per lei è difficile dirlo, in qualche modo era ancora più importante della sua professione, che certamente le piaceva e nella quale certamente si distingueva. Tuttavia Bice non era attrice fino in fondo. La stessa cosa si può dire per suo marito Paolo Panelli: malgrado la loro indubitabile bravura e popolarità, entrambi davano il meglio nella vita, dove erano più spiritosi, veloci, brillanti, leggeri e creativi che quando recitavano. Panelli in particolare inventava per gli intimi gags, battute e quelle che chiamava scenette, piccoli episodi talvolta necessitanti un partner: era un materiale che solo eccezionalmente offriva al pubblico, e in tal caso spesso rielaborandolo, con perdita di spontaneità. Mentre detestava lavorare, e ci voleva Bice per convincerlo a firmare contratti e a rispettarli, Paolo adorava recitare le scenette davanti agli amici. Le scenette costituivano un ampio corpus che aveva bisogno di ripassare continuamente, e ogni volta ci metteva un tale impegno e un tale buonumore da renderle irresistibili anche per noi che ornai le sapevamo a memoria. Paolo non amava affatto il mare e non faceva mai il bagno, in compenso era un buon falegname dilettante, e a Castiglioncello si organizzò un atelier dove lavorava la mattina e parte del pomeriggio. Verso l'una ci raggiungeva sotto un ombrellone, e a richiesta, bonariamente, faceva le scenette. Mangiavamo in spiaggia, e siccome detestava i picnic, in questo avendo un alleato in mio padre, costruì una specie di tavolino pieghevole in legno nautico ad altezza di sdraio, dove loro due potevano farsi servire seduti e maneggiare piatti e posate. L'altra sua attività castiglioncellese era ordinarsi delle barche da pesca. Ne disegnava una, andava al cantiere, seguiva amorosamente tutta la lavorazione. Dopo il varo però non sapeva che farsene, allora la vendeva rimettendoci moltissimo e cominciava a progettarne un'altra. Durante due estati girò anche, sempre a Castiglioncello, un film a passo ridotto interpretato da tutti i villeggianti e intitolato Selvaggio amore: la trama l'aveva ricavata da un fotoromanzo spagnolo. Il film fu girato muto, con dialoghi e rumori di scena aggiunti in un secondo tempo dal suo amico Elio Pandolfi, il grande imitatore, che diede a tutti voci famose (la Lattanzi, la Morelli, ecc.). Mediante questi fantasiosi espedienti Panelli si studiava di riempire il tempo durante gli interminabili soggiorni castiglioncellesi ai quali lo costringeva la moglie. La quale dal canto suo non aveva alcuna incertezza su come organizzarsi la giornata. Dormiva fino a tardi (ecco uno dei suoi pochi tratti da attrice professionista), poi veniva al mare e prendeva più sole che poteva, il benefico sole di allora, a bordo di un barchino dal quale pescava con la lenza piccoli pesci che di solito ributtava in acqua. Tornata a riva dopo avere nuotato un po' - nuotava benissimo, facendo il verso a Esther Williams con in testa le cuffie di plastica con fiori che andavano di moda - chiacchierava in attesa del predetto picnic, ma soprattutto organizzava giochi collettivi tra cui «genius» (noi dicevamo «gignus»), «se fosse» («se fosse un volatile? Sarebbe un'aquila») e altri consimili dove si trattava di indovinare un personaggio; la camiciaia, dove vinceva la squadra che metteva insieme più personaggi con le stesse iniziali. Di alcuni, sciocchissimi, ricordo solo il nome; in che sarà consistito il «babulè»? La seduta si prolungava il più a lungo possibile, dopodiché tutti tornavamo alle rispettive case e ci rivedevamo la sera, al cinema all'aperto, dove in assenza di Tv il film cambiava quotidianamente (e dove in una occasione si vide per pochi secondi la prima donna totalmente nuda, mi pare fosse Nadia Tiller, era una copia che per errore non aveva il visto di censura. Costringemmo il proiezionista a ripassare il rullo a sala vuota). Dopo, si andava nell'unico locale aperto, che era il tennis, dove tutti giocavano a carte - whist o peppa, ma c'era anche del grande bridge per iniziati. Dopo ancora, ci si riuniva per altri giochini collettivi. A settembre la compagnia si assottigliava. Si cominciava ad andare al cinema avviluppati in coperte di lana mortaccina e giacconi di incerato giallo acquistati al mercatino di Livorno, poi le proiezioni cessavano del tutto. I tavolini delle carte erano quasi deserti... Verso metà settembre però molti di noi compivano gli anni e si riusciva a ricomporre un gruppo discretamente nutrito. A questo punto capitava anche Mastroianni, che aveva passato il luglio e l'agosto sui set, e faceva da spalla a Panelli nelle scenette più audaci, in particolare nella serie detta del pernofono, variazioni su situazioni imbarazzanti in cui si trova un signore affetto da aerofagia (Panelli mimava e Marcello nascosto faceva i rumori con la bocca. Una volta i due fecero il pernofono a Fellini, il quale si divertì tanto che lo filmò: che fine avrà fatto quella pellicola?). Quando qualcuno annunciava la propria partenza, Bice lo prendeva quasi come un'offesa: era un complice in meno nella sua lotta per riuscire a fare un altro bagno, spremere ancora un po' di sole, trascorrere un'ultima sera coi giochini. Tentava di fermare l'orologio, insomma; e come Mefistofele ben sa, non c'è nulla di più umano né di più destinato alla sconfitta. Infatti passarono inesorabilmente gli spensierati anni Sessanta, e anche quelli dopo, tanto più cupi. Intelligente com'era, Bice sapeva che la sua impresa era donchisciottesca, e non se lo nascose quando cominciò a stare male e poi se ne andò, sembra ieri, ma sono già più di quattro lustri. Oggi tutto è cambiato - queste storie finiscono sempre così. Ma quell'angoletto di piattaforma di cemento dal quale guardavamo morire l'estate continua a sembrare inconcepibile senza di lei.

Masolino d'Amico a sinistra con Bice Valori e Paolo Panelli all'Ausonia

Bice Valori

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