Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da "Il Tirreno" del 05-08-2001 di Aldo Santini

 Niente bagno per mister Churchill Castiglioncello estate del 1944: troppo pericoloso per il premier fare un tuffo. Il fronte è a pochi chilometri, i tedeschi in ritirata hanno disseminato trappole ovunque

Churchill arrivò a Castiglioncello il 19 agosto 1944 per incontrare il generale Clark, comandante della V Armata americana, e poi visitare Livorno, liberata un mese avanti. Clark e gli ufficiali del suo staff lo accolsero nell'albergo Miramare. Churchill era stanchissimo e di cattivo umore, giungeva da Siena. Si lamentò delle strade terribili che aveva percorso su una jeep, seguito in colonna dal nucleo operativo del suo ufficio personale, «Terribili» disse proprio così, in italiano. In quel periodo, immediatamente dopo il passaggio della guerra, la Volterrana doveva essere un autentico strazio. Il mare di Castiglioncello è di cobalto. Un'occhiata e Churchill chiede se è possibile tuffarsi per un bagno. Indossa la sahariana e porta il casco coloniale. Siamo d'agosto, è vero, ma l'Africa è lontana. Gli ufficiali lo sconsigliano. Nemmeno re Giorgio d'Inghilterra, che nei medesimi giorni è a Cecina, si è preso una licenza così rischiosa. E meglio che Winnie s'immerga in una vasca dell'albergo. Un appartamento è a sua disposizione. Churchill abbozza. Comunque, bagno o no, entra nella storia di Castiglioncello. Si trova in buona compagnia. Lui che ama la pittura, ed è uno squisito pittore dilettante, avrà sentito parlare, speriamo, di Martelli e dei suoi ospiti, i Macchiaioli, dal Fattori all'Abbati. E probabile che Romolo Monti, l'uomo che ha costruito il Miramare e ha aperto Castiglioncello al turismo, abbia avuto il tempo di mostrargli i quadri più belli della sua collezione, i Puccini e i Ghiglia. Un colpo di cannone contro Pisa Churchill sta per avere un colloquio con Clark e passare in rivista uno dei reparti che attendono l'ordine per affrontare tedeschi, oltre l'Arno. Ha voluto portare a Clark, come ad Alexander, su a Siena, e alle loro truppe, il conforto della sua presenza, ispezionare il fronte, rendersi conto di come stanno le cose. A Livorno gli faranno sparare un colpo di cannone contro Pisa. Questo, commenterà Spadolini, «rientrava negli storici rapporti fra Livorno e Pisa, dove c'erano i tedeschi». La situazione è delicata. Da Roma fino a Cecina e a Rosignano la V Armata era giunta a passo svelto, ma qui era stata impegnata a lungo. La resistenza delle truppe di Kesselring era stata feroce. I tedeschi avevano compiuto inenarrabili atrocità sulla popolazione. Rosignano era stata conquistata e poi perduta. E gli americani avevano lasciato sul terreno centinaia di soldati. I giovani italiani che erano riusciti a liberarsi dai reparti della Werhrmacht, dove erano tenuti prigionieri, e risalivano il fronte seguendo le forze alleate, trovavano perfino sull'Aurelia i segni dei combattimenti, le rovine delle spoliazioni, e anche molti cadaveri dei tedeschi rimasti uccisi. A tutti erano state tolte le scarpe. Dopo il sopralluogo, Churchill tirerà le somme: «Davanti a me c'era una splendida Armata, pari a venticinque divisioni, costituita per un quarto da americani, ridotta al punto di non essere più in grado di ottenere risultati decisivi contro l'enorme vantaggio della difensiva tedesca. Avremmo potuto irrompere nella valle del Po, con tutte le splendide possibilità e le magnifiche prede che ci si offrivano sulla strada di Vienna». D'accordo, oltre l'Arno stava prendendo forma la Linea Gotica. Ma è anche vero che le perdite avute tra Cecina e Rosignano, inducevano la V Armata a una prudenza eccessiva. Riccardo Marchi, lo scrittore livornese sfollato a Castiglioncello con la famiglia (dove Vittorio, il suo primogenito, si era sposato raggiungendo la chiesa in bicicletta con la fidanzata), mi raccontò che per alcuni giorni il fronte americano a Castiglioncello fu rappresentato da un solo carro armato. Bastò che una mattina, da una villa trasformata in un bunker oltre il Quercetano dove si era asserragliata una pattuglia della retroguardia tedesca, sparassero qualche raffica intimidatrice e il carro armato si mise subito in moto, ritirandosi a tutta velocità. Per gli abitanti che avevano già festeggiato la partenza dei tedeschi, fu una mazzata. «E se quelli fossero tornati?» si chiedeva Marchi. Per fortuna non tornarono. E l'indomani il bollettino alleato annunciò che la V Armata era indietreggiata per una controffensiva tedesca. Quale controffensiva? D'altronde, prima di marciare su Livorno e prendere possesso del suo porto, gli americani avevano deciso di bombardare a tappeto la città per distruggere la cosiddetta «zona nera» creata dai tedeschi nel centro storico dopo averlo fatto evacuare. Il comando alleato era sicuro che la «zona nera» costituisse un enorme deposito di armi, munizioni e viveri. Intendevano cancellarlo prima che i tedeschi, ritirandosi, lo trasferissero sulla Linea Gotica. Messi sull'avviso da un informatore, i partigiani di Livorno trafugarono una carta topografica della «zona nera» dalla Villa Landini dell'Ardenza, sede di un comando tedesco, una carta con tutte le indicazioni delle batterie, dei campi minati eccetera, per dimostrare l'inconsistenza dei sospetti alleati. Nella «zona nera» non c'era nulla di così importante da bombardarla a tappeto. Una pattuglia passò il fronte insieme a un aviatore americano salvato dall'incendio del suo ricognitore abbattuto, raggiunse a Vada il quartier generale di Clark, sottopose la carta topografica al suo staff e il bombardamento fu annullato. Livorno era già distrutta abbastanza. Poi il 19 luglio furono i partigiani raggruppati a Quercianella che entrarono a Livorno, passando per il Castellaccio e Montenero, dopo avere sloggiato i tedeschi che dal castello di Sonnino sparavano su Quercianella con i mortai. Vi cadde il figlio del parrucchiere del paese, Euro Gelli. Gli americani si erano rifiutati di avanzare sull'Aurelia. «E tutta minata» dicevano. Preferirono accerchiare Livorno alle spalle e irrompere dal versante nord. Il 19 agosto, un mese dopo, Churchill viene informato nei minimi dettagli, a Castiglioncello, su quanto è accaduto. Ascolta le relazioni del generale Clark e dei suoi ufficiali durante il pranzo nel parco del Miramare, sotto una pergola. Churchill è a capotavola e tiene il casco in testa. Se lo sarà tolto durante il bagno nella vasca? Clark è alla sua destra. Intorno sei ufficiali in maniche di camicia, meno uno che indossa la giacca con il grado di tenente colonnello. Una armata internazionale Churchill spiega che ha sostato, durante il viaggio da Siena, per vedere la 92esima divisione di truppe di colore aggregata da pochi giorni alla V Armata, brasiliani, sudafricani, indiani, nippo-americani, ossia i giapponesi residenti negli Stati Uniti che avevano preso la nazionalità americana prima della guerra. «Stavamo diventando un'armata internazionale» scriverà Clark nel «Calculated risk». Prima di alzarsi da tavola e passare in rivista con la jeep le truppe schierate sull'Aurelia (c'è una foto documento ormai celebre, con Winnie munito dell'immancabile casco coloniale), Churchill si complimenta con Clark e i suoi ufficiali, dimostrando il profondo legame che univa l'Inghilterra agli Stati Uniti. Non abbiamo, è ovvio, il discorso registrato, ma leggendo le sue memorie, troviamo queste parole: «Nessuna operazione avrebbe potuto essere più redditizia su questo teatro di guerra, dell'impresa da voi compiuta attirando forse dodici divisioni nemiche o anche più in Italia, dove sono state fatte a pezzi. Voi avete aiutato con la massima efficacia la grande battaglia che ora si avvia alla sua conclusione vittoriosa sui campi di Francia». Ottimista, Churchill, anticipava di parecchio i tempi. Se la foto della rivista sull'Aurelia è celebre, ne ho scovata un'altra che credo inedita e rivela quando Churchill fosse di buon umore, e disponibile, dopo il pranzo al Miramare e lo scambio di vedute con Clark. Così disponibile da posare, sul retro dell'albergo, per la mascotte della 34esima divisione della V Armata, Franco, un ragazzino italiano nominato «sergente maggiore d'onore». Sempre con il casco, con la sahariana e un bastone. Dopo la rivista, Clark conduce Churchill a Livorno. Visitano il X Port in funzione da un paio di settimane. Lo scalo livornese è completamente distrutto. Le banchine fatte saltare in aria. Le bocche di accesso bloccate da navi affondate. Clark riferisce che Livorno era piena di tranelli nuovi, studiati con astuzia infernale. I tedeschi avevano impiegato tavolette di cioccolata, saponette, pacchetti di garza, portafogli, tutti congegni esplosivi che presi in mano scoppiavano. Altri erano appesi alle finestre della «zona nera», alle porte, ai mobili, nascosti perfino sotto i cadaveri dei soldati. Churchill torna a Castiglioncello a trascorrere la notte al Miramare. Ha ben diritto a un riposo. Nel 1944 aveva settant'anni.

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