Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da "Il Tirreno" del 24-02-2003 di Antonio Valentini

Grande attore, uomo gentile

Lui stella fissa del cinema da quarant’anni, io praticante giornalista da tre mesi. Avrei avuto un piccolo momento di gloria nell’agosto di quella lontanissima estate del 1988? Senza crederci troppo telefono a casa sua, a Castiglioncello. Dall’altro capo del filo, la domestica. «Sono Antonio Valentini, scrivo per il Tirreno. Vorrei sapere se il commendator Alberto Sordi è disposto a lasciarsi intervistare».
La signora risponde con una gentilezza che mi pare di routine: «Non c’è, torna stasera. Mi lasci il suo numero, la farò chiamare». Figuriamoci se mi richiama, penso, chissà quanti maestri della penna bussano a quella porta.
Archivio l’idea, senza farne parola con nessuno. La sera, sul fine lavoro, il telefono della redazione squilla per l’ennesima volta. Un collega risponde stancamente: «Il Tirreno, buonasera. Come? Dice davvero? Sì, allora io sono Francesco Cossiga. Buonanotte». E riattacca. «Bah - fa il collega - era uno che diceva di essere Alberto Sordi. Le inventano tutte per disturbare chi lavora». Non faccio in tempo a capacitarmi che il telefono squilla ancora. Stavolta rispondo io. «Sono Alberto Sordi. Un certo Valentini mi ha cercato per intervistarmi. Per caso è lì?». Trasecolo, è l’occasione della vita. M’immagino già un paginone in cronaca, il titolo in prima, gli amici che si congratulano... Emetto un suono gutturale, più simile a un verso che a una voce. Gli rispondo che Valentini sono io e che appunto vorrei intervistarlo. Sarebbe mica disponibile? «E come, no? Venga domani mattina a casa mia, a Castiglioncello, verso le 11». Ragazzi, non sto nella pelle, dico in redazione. Vi rendete conto che è la prima intervista che faccio a un personaggio del genere? Per essere a casa sua alle undici, parto alle 9 di mattina. Non si sa mai. Un quarto d’ora dopo sono davanti al cancello della villa di Punta Righini e giro, giro, rigiro... Giro ancora fino a quando non è l’ora di suonare il campanello. «Sono un giornalista...», dico al citofono. Il cancello si apre e Alberto Sordi mi viene incontro a passo svelto, con la mano destra tesa, pronta a stringere la mia. «Venga, si accomodi - dice -. Le piace la mia casa di Castiglioncello?». Ancora col suono informe e gutturale della sera prima riesco a dire che sì, la trovo piuttosto carina.
Macché carina, è una reggia: macchia mediterranea su tre lati, una vista mozzafiato verso il mare e Punta Righini, mobili d’antiquariato di primissimo ordine, tappeti di pregio, quadri d’autore.
Ci sediamo nel salotto che dà proprio sulla scogliera, su due divanetti lineari, di un giallo delicato. Avvio il registratore e attacco, partendo dalla chiusura della condotta fognaria a Punta Righini e dalla recente premiazione al Caffè Ginori: «Un giorno - risponde - stavo godendomi il sole e la brezza del mare. A un certo punto alle mie narici giunse un effluvio. Non un odore di fiori o chissà cos’altro, ma un “puzzo de’mmerda” pe’ capisse. Ora che quella fogna è stata risanata, sono convinto di essermi meritato non solo il premio della fedeltà a Castiglioncello, ma anche quello della resistenza». E giù con le domande e le risposte: le vicine di casa, le sorelle Martinetti, che morirono a 104 e a 102 anni; la passione per l’antiquariato, la scelta di modellare i personaggi ai periodi della sua vita, il rapporto con le donne.
Già, le donne: non è che il film “Io e Caterina” fosse fin troppo autobiografico, nel senso che lui avrebbe preferito vivere vicino a un robot anziché a una donna in carne e ossa, come poi ha fatto non essendosi mai sposato? Alberto Sordi mi scruta con occhi acquosi. «Guardi, credo che il matrimonio vada rispettato e gli impegni debbano essere sempre onorati. Io, conoscendomi, so benissimo che non avrei potuto fare niente di ciò. Per cui non mi sono sposato». Ma qualcuno tra i tanti, ammette poi, tentò di combinargli un matrimonio proprio a Castiglioncello: «Era un amico. Voleva che conoscessi la cugina della sua ragazza. Appena li vidi arrivare sulla spiaggia, guardai la donna che mi aveva destinato. Mi tuffai in acqua e nuotai a più non posso. Quando mi fermai, rivolto alla battigia, gridai: “Quella te la sposi te”». L’intervista finisce, al pari della limonata nella caraffa in stile ultramoderno e del tempo nella cassetta del magnetofono. Con zelo, senza alzarmi, riavvolgo il nastro e premo il tasto “play” per riascoltare almeno le prime battute. Maledizione, non è venuto nulla. Devo aver combinato qualche pasticcio, forse ho schiacciato i tasti sbagliati, l’emozione mi ha giocato un brutto scherzo. Alberto Sordi mi guarda: «Embè? Che è successo? Non ha registrato?». Ahimé, non è venuto proprio nulla. «Niente de’ male - dice lui -, la rifamo. Vole n’antro po’ de limonata? Dunque, un giorno stavo godendomi il sole e la brezza di mare quando, a un certo punto, alle mie narici giunse....».

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