Castiglioncello  Cronache


CASTIGLIONCELLO, 9 LUGLIO 1944  di Paolo Bini.

RACCONTO DA UNA STORIA VERA  
 

“E’ morto il Pretino, insieme ai Bini...Sono saltati in aria! Presto, venite!”
Cosi’ gridava Arnaldo, quella mattina, correndo a perdifiato dalla Piazza verso Portovecchio cercando aiuto per soccorrere i feriti e ricomporre i morti.
Fu cosi’ che mio Padre seppe.
Era arrivato il giorno prima al seguito delle truppe alleate. Il fronte si era fermato a Vada, in attesa di riprendere l’avanzata il giorno dopo per Rosignano. Praticamente a due passi da casa.
Mio Padre Aldo aveva 22 anni, ed erano due anni che non tornava a Castiglioncello e vedeva i suoi genitori.
A 20 anni era partito militare, aveva lasciato l’Universita’ e fu inviato a Stia nel Casentino a fare l’addestramento. In quell’ occasione vide suo padre Giuseppe per l’ultima volta. Fu una Domenica di Primavera. Il tempo era bello ed il Casentino si presentava in tutta la sua dolce bellezza. Mio nonno Giuseppe ando’ a trovare suo figlio militare, portando dietro un pollo arrosto preparato dalla nonna Carletta, da mangiare insieme. A quei tempi anche un pollo arrosto era un lusso. Si avviarono verso l’Arno che scorreva lucente e silenzioso. Scelsero un posto ombreggiato lungo l’argine e fecero un pranzo insieme parlando di Castiglioncello, dei parenti, degli amici, della vita di tutti i giorni, che come l’Arno continuava a scorrere nonostante tutto. Quando si separarono, mio Nonno, che era uno tutto d’un pezzo, austero come usava ai tempi, abbraccio’ mio Padre e piangendo gli disse: ”Aldo, figlio mio, abbracciami ora, perche’ forse non ci vedremo piu! “.
La guerra ormai incombeva da un po’ di tempo e le cose per l’Italia erano sempre piu’ difficili. Aldo fu mandato in Puglia come sottufficiale con l’Esercito a difendere gli aereoporti militari dagli attacchi alleati .
Dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943, mio Padre decise di non arruolarsi nell’Esercito della Repubblica di Salo’ e si aggrego’ invece alle truppe USA come esperto mitragliatore. Fu inviato a Roma dove esisteva un grosso centro logistico al Muro Torto a provare le mitragliatrici. Faceva bene il suo lavoro e fu cosi’ autorizzato dal Comando Alleato a seguire le truppe come ausiliario nell’avanzata verso il Centro Italia e la Linea Gotica.
Quando il suo reparto arrivo’ a Vada, a pochi chilometri da casa a Castiglioncello, non se la senti’ di aspettare oltre. Sapeva che i Tedeschi erano ancora attivi ed insieme ai Repubblichini, incattiviti ed impauriti, ogni giorno compievano atti di rappresaglia e ritorsione sia contro i Partigiani che contro la popolazione inerme. Alcuni Partigiani di Vada, inoltre gli avevano dato indicazioni preziose per arrivare a
Castiglioncello nel modo meno rischioso possibile evitando le postazioni nemiche. C’era infatti il Coprifuoco e mio Padre, con la divisa militare alleata, avrebbe rischiato l’immediata fucilazione. Ma era troppo tempo che non rivedeva i suoi. Poi voleva assolutamente informare suo Padre che gli Alleati sarebbero arrivati di li’ a poco. Questione di ore. Poche, ma potevano essere quelle decisive, per salvarli.
Doveva quindi avvisarli di rimanere in posti sicuri e di non muoversi assolutamente.
Don Italo, il Pretino, aveva poco piu’ di 25 anni. Aveva appena finito gli studi al Seminario ed era stato inviato dal Vescovo a Castiglioncello a sostituire il Parroco che era sfollato in campagna vicino a Castellina Marittima. Italo era un giovane prete, ordinato Sacerdote da pochissimo. A Livorno era stato preso sotto l’ala protettiva di Don Angeli: un prete battagliero ed impegnato nella Resistenza.
A Castiglioncello il giovane Prete si fece subito amare per la sua disponibilita’ ad aiutare non solo i suoi Fedeli, ma tutti i Cittadini che in quei tempi difficili avevano bisogno del suo sostegno. Italo si impegnava anche ad aiutare i Partigiani che combattevano per la liberta’ effettuando un lavoro di informazione e collegamento con le Forze Alleate che stavano risalendo dal Lazio e si avvicinavano sempre di piu’ alle nostre zone. Un lavoro assai pericoloso che lo metteva a rischio di ritorsioni da parte dei Fascisti e dei Tedeschi.
Giuseppe Bini aveva 45 anni. Nato e vissuto a Castiglioncello, aveva un carattere forte ed autoritario. Si era fatto da se’ ed era arrivato a dirigere una delle Fattorie di Castiglioncello, quella della Ragnaia. Oggi si direbbe un Manager. Sportivo, amante della caccia e del calcio, aveva fondato l’US Castiglioncello nel 1919 ed era stato anche tra i Patrocinatori della Chiesa Parrocchiale. Testardo, ma generoso d’animo, si era trovato subito bene con Don Italo, cui dava una mano per reperire beni di prima necessita’ e dare rifugio ai compaesani piu’ disagiati.
“Ora o mai piu!” Penso’ Aldo, quando decise di passare il fume Fine dove si erano attestati gli Alleati, prima di proseguire verso Rosignano. I Partigiani guidati da Renato Pini lo avevano informato di suo Padre e del Pretino che erano rifugiati alla Ragnaia e che erano a rischio rappresaglie dei Nazisti e dei Fascisti allo sbando. Si era quindi unito al gruppetto dei Partigiani che faceva ritorno nelle zone ancora da liberare dopo essere andati ad ottenere rifornimenti e munizioni dagli Alleati. Passarono il Fine nella zona dei Polveroni e si incamminarono guardinghi nella piana delle Morelline per poi dirigersi verso le campagne dietro a Rosignano. Il Gruppetto si divise nella zona del Casalino e mio Padre con altri due si recarono verso la Fattoria della Ragnaia dove erano rifugiati alcune famiglie di Castiglioncello insieme alla famiglia di Giuseppe ed il Pretino .
Arrivarono alla Fattoria nel primo pomeriggio. I due Partigiani si misero di guardia fuori del cancello per presidiare l’eventuale arrivo dei nemici ancora presenti in zona. Aldo quindi’ pote’ entrare nell'ampio cortile della villa della Fattoria e rivedere cosi’ i suoi genitori .
“Aldo?” disse Giuseppe, incredulo, alla vista del figlio. ”Babbo!! Si, sono io!!”. Si abbracciarono piangendo dalla commozione. ”Dai, vai giu’ dalla Mamma!”. Aldo si reco’ giu’ nei grandi scantinati della villa. Carletta, la mamma e Rosa, la nonna, con altre donne ed il Pretino, stavano sistemando alcune nuove famiglie che erano da poco arrivate al rifugio. Le due donne urlarono di gioia e corsero ad abbracciarlo.
A loro si aggiunse anche Don Italo, che aveva sempre sentito parlare da Giuseppe di quel giovane figlio. Cosi’ Aldo conobbe il Pretino. Un brevissimo incontro con un suo quasi coetaneo, che, gia’ Sacerdote, aveva preso su di se’ la grande responsabilita’ di proteggere i suoi parrocchiani in quei difficili momenti. Erano poco piu’ che ragazzi, ma la Guerra e le difficolta’ della vita li aveva presto trasformati in uomini temprati a tutto.
Avevano infatti in poco tempo, visto e sopportato la miseria, la fame, la distruzione, la morte di tante persone, di amici e parenti, la crudelta’ la disperazione, la cattiveria , la vigliaccheria ed il coraggio. Aldo purtroppo non poteva stare molto li’ alla Villa. Era assai pericoloso. Era in divisa militare e se fosse passato qualche Nazista o qualche Repubblichino sarebbe stato passato subito per le armi e quasi sicuramente ci sarebbe stata una ritorsione verso i civili.
I due partigiani di vedetta sulla strada che portava all’ingresso della villa sollecitarono infatti Aldo ad andare via e trasferirsi con loro presso un altro rifugio ritenuto piu’ sicuro.
Aldo ebbe solo il tempo di avvisare il Padre che gli Alleati erano a due passi: era solo questione di ore e sarebbero arrivati a Castiglioncello Gli specifico’ che ormai i Nazisti e gli ultimi Repubblichini erano in rotta e stavano risalendo velocemente verso il Nord.
Giuseppe, un po’ smagrito, con gli abiti logori, aveva comunque mantenuto quella sua aria carismatica, da decisionista. Era il riferimento insieme a Don Italo di quella comunita’ disperata a cui aveva dato rifugio ed assistenza. Ascolto’ con attenzione il figlio, insieme a Don Italo. Espresse le sue perplessita’. Sosteneva che per lui ed il Pretino era pericoloso rimanere in quel rifugio ormai conosciuto dalle SS . Temeva le ultime ritorsioni di un Esercito ormai allo sbando e le vendette di qualche Repubblichino impaurito ed invelenito.
I tre si salutarono, promettendo che avrebbero avuto la massima accortezza. In fin dei conti stavano finalmente vedendo la luce del Tunnel dopo un periodo aspro e crudele. La Liberta’ e la fine di un incubo era ormai alle porte.
Aldo fu accompagnato dai due Partigiani verso un rifugio sicuro, ricavato dentro un magazzino sul Lungomare a Portovecchio. Da li’ i Tedeschi non passavano mai.
La notte sopraggiunse veloce, tutto sembrava quieto e dolce. Mio Padre era finalmente ritornato a casa dopo tanto tempo. Aveva rivisto i suoi genitori, tutto sommato in buona salute, e la Liberta’ con l’arrivo degli Alleati era vicina.
“Don Italo, andiamo”. Era da poco passata l’alba e Giuseppe, dopo aver sentito degli strani rumori di mezzi durante la notte e le prime ore del giorno, aveva preso la sua decisione.
“Giuseppe, aspetti. Ha sentito cos’ha detto ieri suo figlio Aldo? Gli Americani stanno per arrivare. E’ inutile rischiare proprio ora.” Replico’ il giovane prete.
“Non mi fido, Italo. Ho sentito troppi spostamenti di mezzi stanotte. Non vorrei che i tedeschi stiano studiando qualcosa. Non mi piace questo silenzio. Non mi piace questa situazione. Gli Americani si muovono solo quando sono sicuri di incontrare una minima resistenza e quindi possono passare ancora giorni. Poi questo rifugio e’ ormai conosciuto. Per ora non abbiamo avuto problemi grazie a Lei ed alla
Chiesa che ci ha protetto. Ma i fascisti sono incattiviti e non vorrei che ci fosse una resa dei conti od una vendetta dell’ultim’ora. Ricordiamoci di cosa e’ successo a Vada ed all’Acquabona. Ieri hanno ucciso il Picchianti a Marittimo!” Giuseppe era risoluto, come sempre e Don Italo cedette.
“Che idea avrebbe, Giuseppe?”
“Qui ormai siamo troppi. Ed io e Lei non siamo certo benvisti dai fascisti. La cosa migliore e’ andare via da qui subito ed andare in un nuovo rifugio vicino. C’e’ una villa sul Promontorio di cui ho le chiavi con uno scantinato grande, circondato da un alto muro di cinta. Li’ non ci troveranno mai. E’ l’ideale per passare questi ultimi giorni prima dell‘arrivo degli Americani. Partiamo ora, che non ci vede nessuno. In pochi minuti saremo arrivati. Saremo al sicuro e lasceremo al sicuro la gente che rimane qui, senza il rischio di eventuali rappresaglie a causa della nostra presenza”.
“D’accordo Bini. Allora partiamo!”
Rosa ne aveva viste tante nella sua vita. Era nata praticamente con l’Unita’ d’Italia in una Livorno post garibaldina e Mazziniana. I suoi genitori avevano messo su una Locanda a Castiglioncello posta nel fabbricato lungo la Via Aurelia dove si trova l’attuale Farmacia. Una delle prime attivita’ turistiche della localita’. Aveva passato indenne la prima guerra mondiale e l’epidemia della Spagnola, Poi, rimasta vedova di Lorenzo, aveva chiuso l’attivita’. Aiutava quindi la nuora Carletta ed il figlio Giuseppe a mandare avanti la casa ed i nipoti, rimpiangendo, a dire il vero, i bei tempi della Locanda. Non aveva molta voglia di spostarsi dalla Fattoria e dal Frantoio dove erano rifugiati. Amava la campagna ed i suoi profumi e si sentiva molto utile, insieme con le altre donne del paese, ad organizzare la vita di tutti i giorni: a pulire, riassettare ed a mettere qualcosa in tavola.
Ma quando suo figlio Giuseppe si metteva in testa una cosa, non c’era niente da fare. Era inutile insistere oltre. Irremovibile e testardo, ma con la testa sulle spalle. Sicuramente aveva ragione lui. Era meglio andare via. I fascisti ed i Tedeschi erano gia’ venuti qualche volta a controllare ed erano sempre piu’ nervosi ed impauriti. Quindi pericolosi. Poi finora Don Italo ce l’aveva sempre fatta a minimizzare ed a convincerli che tutto era tranquillo ed in regola, ma le voci che era in contatto con i Partigiani e con gli Alleati erano sempre piu’ insistenti.
Don Italo si accinse a preparare i suoi pochi bagagli in vista dell’imminente trasferimento. Oltre agli effetti personali, c’era anche il necessario per poter celebrare la Santa Messa: funzione quanto mai di conforto per i suoi Fedeli, ma in generale per tutti gli sventurati Cittadini. Da una parte era contento di sapere che gli Alleati stavano finalmente arrivando anche a Rosignano. L’incubo della guerra e della dittatura stava per finire. Dall’altra era dispiaciuto di lasciare quella parte di suoi parrocchiani senza la sua azione di sostegno religioso e morale. Pero’ rimanere significava esporli a pericoli di rappresaglia. Purtroppo in quei giorni erano stati effettuati diversi eccidi a danno di civili e partigiani o loro fiancheggiatori. Qualche giorno prima un Repubblichino lo aveva minacciato: “Attento Pretino, stai rischiando grosso! Fai il tuo dovere, occupati della Chiesa e delle anime e stai lontano dai banditi (cosi’ venivano chiamati i partigiani). Mi sono
spiegato?” L’avvertimento era molto chiaro. Evidentemente avevano in qualche modo saputo dei suoi contatti con i Partigiani e gli Alleati, ed anche dei suoi rapporti con Don Angeli, un parroco di Livorno molto attivo nella Resistenza, che fu infatti il mese prima imprigionato e poi condotto in Germania nei famigerati campi di concentramento a Dachau e Mathausen.
Don Angeli era stato infatti il suo riferimento a Livorno ed Italo aveva da subito fatto parte di quel gruppo di preti coraggiosi che a rischio della vita e tra mille pericoli lottavano per difendere gli ideali di Democrazia, Liberta’ e Solidarieta’ propri dei valori del Cristianesimo Sociale. Sarebbe stata questione di poche ore, tutto sommato, penso’ il giovane Prete. E poi finalmente sarebbe potuto tornare a dire la Messa a tutti i suoi fedeli, nella chiesa parrocchiale, che fortunatamente era sfuggita ai pesanti bombardamenti Alleati del 15 Giugno quando invece fu colpita e distrutta la scuola elementare proprio a due passi (dove ora e’ stato ricavato un parcheggio).
Carletta, la mamma di Aldo, era originaria di Canneto sull’Oglio, una cittadina vicina a Mantova. I suoi avevano una farmacia, tuttora esistente. Aveva conosciuto Giuseppe, quando era venuta in vacanza a Castiglioncello, localita’ ai tempi molto consigliata dai medici per curare l’asma ed altre malattie respiratorie, proprio nella Locanda gestita dalla futura suocera Rosa e dalle sue sorelle. Si era subito
innamorata di quel giovane guascone toscano, alto, di bell’ aspetto e molto deciso nei modi. Specie con le ragazze. Si erano sposati poco dopo quella vacanza galeotta e poi lei si era trasferita a Castiglioncello dove nei primi tempi dava una mano a Rosa ed alle sorelle a gestire la Locanda. Aveva poi messo al mondo due figli: Vittorio ed Aldo. Con la nascita di Aldo, il secondogenito e il conseguente affermarsi di Giuseppe nel ruolo di Fattore, Carletta si era dedicata a tirar su la famiglia, come allora era uso comune per tantissime donne.
“Renato, vieni anche tu con noi, e’ meglio per tutti...” disse Don Gambini a Renato Pini, uno dei Comandanti Partigiani che lo aveva seguito dai tempi della Resistenza a Livorno con il gruppo dei cristiano sociali di Don Angeli.
Renato era un ufficiale di Marina coetaneo del Pretino ed era passato alla Resistenza con ruoli di collegamento ed organizzazione. Da tempo operava nella zona di Castiglioncello tenendo i rapporti con le truppe Alleate,  informandole delle postazioni e dei movimenti dei Tedeschi. Era molto abile nel muoversi, ma anche lui era a rischio di ritorsioni.
“Si, Don Italo, e’ giusto. Io andro’ in avanscoperta, nel caso ci fossero imboscate di cecchini od altro di pericoloso durante il trasferimento.” Fece Renato, pensieroso ma subito pronto all’evenienza.
“Don Italo, siamo pronti! Andiamo. Prima si va e meglio e’ “ incalzo’ Giuseppe con voce decisa. Erano le prime luci dell’alba di quel tragico 10 Luglio 1944.
Aldo, quella notte non riusciva a prendere sonno. Un po’ le emozioni, un po’ le fatiche e le paure della giornata: il timore delle imboscate, delle ultime pattuglie Naziste e Repubblichine, il rischio della fucilazione immediata. La gioia di poter aver rivisto i suoi cari dopo tanto tempo. Tutto un insieme di cose, aggiunte anche all’ansia dell’imminente fine dell’incubo con l’avvento delle truppe alleate e la paura degli ultimi colpi di coda dei Tedeschi. E poi soprattutto il pensiero per cosa avrebbe fatto suo padre. Sarebbe rimasto al rifugio alla Ragnaia, come da lui consigliato o si sarebbe spostato come aveva in mente di fare verso Villa Bologna alla Mugginara? Conoscendo la natura decisionista e testarda di suo padre, Aldo non era per niente tranquillo.
Gia’, suo padre Giuseppe. Il leader, il capofamiglia. Il suo idolo da bambino e da ragazzo. Esperto cacciatore con una grande mira che lui invece non aveva avuto in dono. Come invece aveva avuto in dono quella magnifica doppietta Krupp con il corpo metallico intarsiato. Un’ opera d’arte a cui lui teneva moltissimo.
Aldo non pote’ fare a meno di pensare ai suoi piu’ bei ricordi con suo padre. Quando per esempio compro’ la prima radio del paese per sentire le partite di calcio della Nazionale ai campionati del mondo del 1934 a Roma. Aveva fatto fissare un grande palo che serviva come antenna nell’orto davanti al campo di calcio del Castiglioncello. E tutto il paese si riuniva intorno a quel palo per sentire le prime radiocronache di Nicolo’ Carosio. Ma soprattutto il piu’ bel ricordo di tutti. Quell’incredibile viaggio con Giuseppe a Roma allo stadio Testaccio per la mitica finale della Coppa Rimet contro la formidabile Cecoslovacchia e la fantastica vittoria per 2-1 dopo essere stati in svantaggio. Il goal di Schiavio ai tempi supplementari: il trionfo, i tifosi impazziti dalla gioia, la capitale splendida, in festa. L’albergo vicino al foro Imperiale, lo stadio dei marmi, il colosseo, le trattorie di Trastevere.. tutto cosi’ vicino e cosi’ lontano. Erano passati giusto dieci anni e tutto era cambiato. Lui aveva appena dodici anni e viveva il mondo come una magnifica favola. Poi la guerra, i compagni e gli amici morti o dilaniati, la miseria, la distruzione.la disperazione...
Ed Emilia dove sara’? Quella bella ragazza mora di Livorno che veniva in vacanza al Sorriso e con cui si era fidanzato poco prima di partire militare.. E gli amici del Quercetano? Iram, Cece Romiti, Walter Ciucchi e tutti gli altri della banda.. i ragazzi di Castiglioncello e gli amici delle famiglie villeggianti..le goliardate, le feste da ballo sulla spiaggia ed al Dai Dai da Pasquale, i giochi, gli scherzi., la vita spensierata, lo sport, i primi amori, le passeggiate in Pineta mano nella mano...Tutto prematuramente finito e per cosa poi? Forse da tutto questo male, potra’ nascere un Mondo ed un’Italia piu’ giusta e libera.... Era la sola speranza che aveva. Il giusto conforto per una gioventu’ interrotta, spezzata. Solo pochi anni prima e sembrava passato un secolo. Tutto era cambiato e quel mondo e quella vita spariti nel nulla. Tutto sarebbe stato diverso e chissa’ come. Non c’era nessuna certezza, se non quella di essere riuscito per ora a salvare la pelle e non
era stato facile nemmeno quello. Le mille volte che aveva evitato le scheggie o le mitragliate durante le incursioni degli aerei Alleati (a quel tempo nemici) che bombardavano le postazioni del nostro mal equipaggiato Esercito a difesa degli aereoporti in Puglia che il suo battaglione doveva presidiare e difendere. La vita si poteva perdere per pochi secondi o centimetri in piu’ od in meno. Ma era andata bene,
finora. E forse era finita davvero. A tanti altri invece non era andata cosi’.” Forse anche troppo bene...” mormoro’ Aldo tra se’ e se’, rigirandosi nel giaciglio dell’improvvisato rifugio di quella tragica alba.
Il carro con i due buoi era pronto. Le donne erano gia’ a bordo e Piero il contadino era al posto di guida in attesa della partenza. Don Italo si sedette davanti accanto a lui. Giuseppe, anche lui a cassetta, aveva imboscato un fucile vicino all’asse che fungeva da sedile, per eventuali evenienze. Renato ed un altro partigiano si avviarono circospetti a fare da avanguardia. Uscirono dalla fattoria e raggiunsero facilmente l’attuale via dei Macchiaioli passando dal viottolo laterale di Poggio Allegro.
“Conviene passare dalla Fattoria delle Spianate e da li’ entrare dentro il Castello, ed evitare il piu’ possibile la via principale. Potremmo fare brutti incontri ed inoltre la strada potrebbe essere stata minata dai Tedeschi!” disse Renato in maniera concitata ma decisa. Giuseppe acconsenti’. Ricordava quegli strani rumori e movimenti sentiti durante la notte. Potevano essere dovuti alla posa di mine anticarro.
“Piero, giriamo dalla Fattoria e passiamo dal sentiero del Castello lungo il muro di cinta.” Intimo’ con voce ferma Giuseppe.
Il carro passo’ lentamente dalla Fattoria delle Spianate ed entro’ attraverso un varco nella proprieta’ del Castello Pasquini. Costeggiarono guardinghi il muro di cinta attraverso la vasta oliveta ed arrivarono al cancello di via Asmara. Fin li’ era andato tutto bene. In giro non c’era nessuno e regnava uno strano silenzio, rotto solo dai garruli canti dei merli e dei fringuelli. Era una splendida mattina d’estate, in qel
principio di Luglio del 1944. Castiglioncello,nonostante la guerra ed i bombardamenti era ancora splendida.
“Tra poco saremo al mare a Villa Bologna. ”Giuseppe rassicuro’ Carletta e la madre. ”Don Italo, forse il peggio e’ passato. Presto potra’ anche dire la Messa alla chiesina di Sant’Andrea, alla Torre! “Giuseppe sorrise al Pretino.
“Bini. Fermatevi un attimo qui al cancello. Noi andiamo a dare un’occhiata alla situazione in via Asmara”, fece Renato, avviandosi con il suo compagno ad ispezionare la via.
Il carro si fermo’ quindi giusto di fianco al cancello. In attesa. Nel silenzio irreale e carico di tensione e di paura, i passeggeri pensavano al loro prossimo destino, con la speranza di evitare le ultime pattuglie di Tedeschi e repubblichini allo sbando. Non mancava poi tanto ad arrivare alla fatidica Villa Bologna. Bastava scendere per la stretta via Asmara, attraversare l’Aurelia e poi da li’ addentrarsi nelle vie del Promontorio, arrivare alla Torre e poi scendere fino alla Villa. Al mare, alla scogliera della Mugginara. Salvi. In attesa dell’imminente arrivo degli Alleati, che forse si stavano gia’ muovendo, attraversando il Fine.
Erano praticamente a meta’ del guado. Sospesi tra la vita e la morte. Come da tempo del resto, per molti, troppi cittadini.
Italo stava pensando ai suoi Parrocchiani lasciati alla Ragnaia ed agli altri sparsi nei vari rifugi, ricavati per lo piu’ negli scantinati delle ville . Ce n’erano alcuni anche li’ vicino, stipati di gente impaurita e disperata.
Quanti patimenti, quante morti aveva visto! Quanta violenza, quanto odio ed allo stesso tempo quanta generosita’, quanta solidarieta’, quanto amore ! Un Dio che sembrava assente ed invece era presente
anche nei momenti piu’ crudi e drammatici. Mai avrebbe creduto nei pochi anni che lo separavano dalla fine degli studi in Seminario ad essere giovane Prete tra la gente, a combattere le ingiustizie, le disuguaglianze, le prepotenze, l’oppressione degli umili e dei deboli. A confortare vittime ed anche carnefici nel momento del trapasso, perche’ tutti erano figli di Dio. In ogni caso. Anche se il suo Signore stava dalla parte degli ultimi, dei Giusti, degli oppressi. La guerra stava per finire. Ma il dopo non sarebbe stato per niente facile. La miseria, l’odio, la vendetta l’avrebbero fatta da padroni per molto tempo. Il suo lavoro di sacerdote vicino alla gente, educato ai valori Cristiani e Sociali era solo all’inizio. Ma Don Italo, non si sgomentava. Aveva liberamente scelto quella che doveva essere la sua vita ed ora la metteva in pratica al massimo delle sue possibilita’. La guerra semmai lo aveva temprato, reso piu’ forte ed anche per certi versi piu’ sereno. I suoi valori e le sue scelte erano giuste. E lui li avrebbe difesi fino in fondo .
Giuseppe era assorto nei suoi pensieri. Pensava a quello che era stata la sua vita. Era cresciuto nella Locanda di sua madre. Era bravo a parlare, svelto di pensiero ed adatto ai rapporti umani. Aveva cominciato a fare il cameriere, poi a dirigere la sala. Pero’ la sua vera passione era il commercio e l’agricoltura. La vita all’aria aperta, la caccia, lo sport. E cosi’aveva cominciato a fare il sensale al Mercato del Bestiame a Cecina.
Era bravo e ci sapeva fare. Ed entro’ nell’occhio del proprietario della Fattoria della Ragnaia che lo volle come Fattore. Un ruolo di prestigio, all’epoca. 50 anni vissuti velocemente. E tante idee e progetti da realizzare. Doveva pensare al dopoguerra, a creare un futuro per i suoi due figli, Vittorio ed Aldo cosi’ diversi tra loro. Vittorio il maggiore era piu’ deciso, audace e gran calciatore, ma poco incline allo studio, molto simile a lui. Aldo invece era bravo negli studi, piu’ sensibile, riservato, amante del tennis, piu’ simile a Carletta. Aldo, che era riuscito a tornare dal fronte e che aveva finalmente rivisto ieri pomeriggio.
Gli aveva promesso che sarebbero rimasti alla Ragnaia. Chissa’, forse aveva ragione lui.. Ma no, era troppo rischioso rimanere li’. Le vendette dei Fascisti e dei Nazisti erano purtroppo sempre piu’ frequenti negli ultimi giorni e quel rifugio era ormai bruciato per loro. Inoltre erano gia’ a buon punto. C’era solo da scendere giu’, attraversare l’Aurelia ed il gioco era fatto.
Rosa era in silenzio.Non vedeva l’ora che finisse tutto quello strazio. Mai avrebbe creduto di ritrovarsi alla sua eta’ a dover ricominciare tutto da capo. Come avrebbero fatto? Giuseppe avrebbe ritrovato lavoro? Ed i suoi nipoti? Tutto era cosi’ velocemente cambiato. Le certezze non c’erano piu’. E quanto odio, quanta cattiveria tra le persone che magari erano state anche amiche e che invece ti tradivano. Tempi molto brutti. E quante persone erano morte, quanti giovani che non erano piu’ tornati dal fronte..
Carletta stava pensando a quei posti cosi’ belli della sua infanzia, nel Mantovano: al fiume che passava vicino al suo paese. Alla Farmacia dei nonni e del Padre. A quei profumi intensi di legno e di aromi di erbe medicinali che a lei piacevano cosi’ tanto. Quelle abitudini della Lombardia cosi’ diverse dalla Toscana. Ma lei era sempre stata attratta dall’acqua. Passava lunghe giornate a guardare l’Oglio, le sue rive, quelle acque cosi’ fresche e limpide. Il rumore della corrente, delle rane, le sagome dei pesci. E quando da ragazza venne a Castiglioncello per curare l’asma e vide per la prima volta il mare.. Cosi’ grande, immenso, mutevole. Quelle mille tonalita’ di blu e di azzurro. Quel rumore continuo, leggero ed anche forte, intenso, violento. Il ritmo continuo delle onde. Una eterna sinfonia. Una musica sempre diversa ed imprevedibile. Fu amore a prima vista. Cosi’ come si innamoro’ subito di quell’aitante giovane cameriere, abbronzato e
sorridente che la serviva al tavolo della Locanda. Quella vacanza le cambio’ la vita. Dalla Lombardia alla Toscana, dal fiume al mare. L’acqua come unica costante della sua vita. Le piaceva anche farsi trasportare dalla corrente, abbandonarsi ad essa. Lei che nella vita invece era decisionista, precisa, organizzata: non lasciava mai nulla al caso. Anche nel rifugio era il punto di riferimento per le donne delle famiglie sfollate.
Organizzava il reperimento delle vettovaglie, la cucina, le pulizie. I generi di conforto, le medicazioni..Trovava sempre la maniera di far quadrare tutto, cosi’ come aveva imparato in fretta a fare nella Locanda.
Fra’ un po’ sarebbe tutto finito. E ci sarabbe stato da cominciare daccapo con due figli grandi ma senza lavoro. Pero’ confidava in Giuseppe, nella sua intraprendenza, nella sua generosita’ e nelle sue capacita’ di trovare sempre la soluzione anche nei momenti peggiori. L’importante era di uscire al piu’ presto da questa maledetta guerra.
Anche Piero, il giovane contadino della Fattoria, era in silenzio, pensieroso. Fin li’ era andata bene. Il Bini aveva avuto ragione ad evitare la via principale per evitare brutti incontri. Si sentiva sicuro con Giuseppe.
Un uomo autoritario ma alla mano. Gli aveva insegnato tante cose. Appena finita la guerra avrebbe messo su famiglia. Anche Clara la sua fidanzata sarebbe potuta venire a lavorare alla fattoria. Il lavoro non sarebbe mancato e le braccia femminili avrebbero fatto comodo. Poi avrebbe tirato su con lei una bella famiglia magari con due figli. Un maschio ed una femmina. E poi un giorno avrebbe avuto un Podere tutto suo. Forse la settimana prossima la poteva rivedere. Sarebbe potuto finalmente andare da lei a Riparbella, che ormai era stata liberata. Se gli Americani si sbrigavano....
Anche i due buoi che trainavano il carro stavano immobili e silenziosi. In attesa del tiro delle redini, ruminavano lentamente .
Renato ed il suo compagno nel frattempo muovendosi lentamente e con cautela dal cancello del castello erano arrivati in fondo a via Asmara, la’ dove si immette nella via Aurelia. Nascosti dietro la siepe avevano visto passare poco prima due camionette di Tedeschi dirette verso Livorno. Aspettarono un po’ per vedere se ne sarebbero passate altre. L’Aurelia rimase deserta per alcuni lunghissimi minuti. Probabilmente quelli erano stati gli ultimi soldati del Reich che stavano ripiegando a causa dell’imminente arrivo degli Americani.
Inoltre per la fretta sicuramente la via Aurelia non era stata minata. E questa era una bella notizia. La via Asmara era pulita anch’essa, e cosi’ molto probabilmente le viette del Promontorio.
Renato fece un cenno al suo compagno e si avviarono lentamente per ritornare al cancello dove avevano lasciato il carro con Don Italo, Giuseppe e gli altri occupanti.
Kurt era seduto su una piccola torre di vedetta sull’ autoblindo. Imbracciando il mitragliatore controllava i fianchi della strada. La sua era l’ultima camionetta del piccolo convoglio che stava lasciando Castiglioncello per raggiungere Quercianella, dove altre milizie si stavano organizzando per far fronte alll’avanzata degli Americani. Appena passata la Piazza di Castiglioncello, prima di intraprendere la discesa che costeggiava la ferrovia, intravide con la coda dell’occhio due figure acquattate dietro una siepe che delimitava l’ ingresso di una vietta laterale. Strinse le mani sul grilletto pronto a sparare. Le due figure rimasero immobili mentre la camionetta scollino’ e si avvio velocemente nella discesa. Il pericolo era passato. Probabilmente erano due partigiani. Ma Kurt aveva evitato di sparare alla cieca: sia per evitare un possibile conflitto, sia per non perdere tempo. Poi non era sicuro di chi fossero. Potevano anche essere due innocui ragazzi. Non aveva
piu’ voglia di uccidere gente inerme. Era stufo di questa guerra ormai sempre piu’ inutile e disastrosa. In fin dei conti era un ragazzo anche lui. Poco piu’ che diciottenne, era stato arruolato obbligatoriamente giovanissimo dal Reich ed erano ormai piu’ di due anni che si trovava in Italia. Ormai gli Americani erano vicini e stavano avanzando inarrestabili. Le cose erano molto cambiate negli ultimi tempi. Anche la
Germania era sempre piu’ devastata dai bombardamenti, e le truppe Tedesche si stavano ritirando ovunque. Anche in Italia la situazione era molto cambiata. Non c’era piu’ Mussolini al Governo a Roma: si era rifugiato al Nord. Ormai Roma ed il Sud erano stati liberati dagli Alleati. Kurt si chiedeva quanto sarebbe ancora durata questa barbarie ormai sempre piu’ insensata e soprattutto come avrebbe ritrovato il
suo piccolo paese in Baviera: la sua casa, i suoi genitori, la sua fidanzatina Greta. Quanto era che non la rivedeva ...Aveva avuto scarse notizie, ultimamente. Sapeva che lavorava come infermiera a Monaco, ma niente di piu’. Gli sarebbe anche piaciuto, finito tutto, tornare in Italia, soprattutto al mare. 
Castiglioncello, poi, dove era stato di stanza negli ultimi tempi, era veramente un posto incantevole. Senza la guerra sarebbe stato davvero meraviglioso. Gli piaceva molto il mare, non lo aveva mai visto prima dal vero. Solo in qualche film o documentario. Ne era rimasto davvero affascinato. Avrebbe sempre ricordato quelle lunghe notti di vedetta sulla baia con quel silenzio e quel profumo incantevole. Ed era veramente dispiaciuto di aver sparpagliato di mine le strade principali del paese nelle ultime ore. Soprattutto quell’ultima mina messa proprio in quella piccola via a ridosso del cancello d’ ingresso di quel meraviglioso Castello. Gli sembrava proprio un brutto tranello ma gli ordini erano quelli e non poteva disubbidire.
Renato, dal fondo della via,fece cenno a Giuseppe che la strada era libera e sicura e che potevano ripartire.
“Vai, Piero...” .Furono le ultime parole di Giuseppe. Piero incito’ i buoi e mosse le redini. I due animali pero’ rimasero fermi, forse presagendo con il loro istinto la tragedia che incombeva. Piero li staffilo’. I buoi si mossero di malavoglia, mugghiando. Fecero pochi metri. Un enorme boato ed una grande fiammata pervasero l’aria e ruppero il silenzio di quella finora tranquilla mattina estiva. Sotto il peso del carro, la mina esplose. Giuseppe e Piero furono scaraventati in aria e morirono sul colpo. Don Italo addirittura volo’ tra i rami di un grosso pino posto al lato del cancello. Le donne furono anch’esse scaraventate fuori dal carro.
Rosa perse la lingua e giacque moribonda sul selciato. Carletta ebbe la fortuna di avere come scudo i sacchi e le masserizie che erano nel carro. Si trovo’ in mezzo alla strada con i vestiti strappati, ma viva.
Renato ed Arnaldo, il giovane Partigiano che lo accompagnava, rimasero impietriti e furono anche loro sbalzati a terra dallo spostamento d’aria. Renato si precipito’ subito verso quel che rimaneva del carro e dei suoi occupanti . “Arnaldo, corri a chiedere aiuti! Presto! Vai negli altri rifugi!” urlo’ al suo compagno, rendendosi conto della gravita’ della cosa.
Nel frattempo dalle ville ed abitazioni vicine comincio’ ad uscire la gente. Avevano sentito la terribile esplosione e le urla di Carletta che, come impazzita, bussava a tutte le porte implorando aiuto.
Subito un gruppetto di donne ed uomini volenterosi, cominciarono a ricomporre i corpi dei defunti. Alcuni andarono al mare a prendere le assi di legno ricavate dal naufragio dell’ Incrociatore Foscari, affondato dai Tedeschi nel Settembre del 1943 nella baia di Castiglioncello.
Un giovane studente di medicina, cerco’ disperatamente di rianimare Don Italo, che fu tolto ancora rantolante dai rami del Pino. Ma fu tutto inutile......
Aldo fu svegliato nel rifugio a Portovecchio dalle grida di Arnaldo: “E’ morto il Pretino, insieme ai Bini...Sono saltati in aria! Presto, venite!”
Da quel giorno la sua vita cambio’ e porto’ dentro di se’ sempre il cruccio di non aver fatto abbastanza per salvare suo Padre e la sua adorata Nonna Rosa.
Era la mattina del 9 Luglio 1944. Nel primo pomeriggio gli Alleati arrivarono a Castiglioncello e si insediarono con il loro Comando a Villa Celestina e successivamente al Castello Pasquini. Il giorno prima nel pomeriggio avevano liberato Rosignano Marittimo dopo una aspra battaglia con le retrovie Tedesche. Le ultime frazioni del Comune di Rosignano furono liberate tra il 10 Luglio (Nibbiaia) e l’11 Luglio. Il 19 Agosto il Primo Ministro Inglese sir Winston Churchill ed il Generale Clark si incontrarono presso l’Hotel Miramare di Castiglioncello per concordare l’ulteriore avanzata delle truppe Alleate nel centro Italia.
Carletta non si riprese mai da quella tragedia e qualche anno dopo si suicido’ gettandosi in mare d’ inverno ai Tre Scogli. Quel mare che amava tanto e che la accolse per l’ultima volta.
Renato Pini mori’ pochi giorni dopo in uno scontro a fuoco con i Tedeschi nella valle del Chioma vicino a Nibbiaia, dove aveva combattuto per liberarla. A lui e’ dedicata una strada a Livorno.
Don Italo Gambini e’ ricordato nel libro di Don Angeli “Il Vangelo nel Lager” dove si parla dei gruppi di Resistenza locale e dell’attivita’ dei Sacerdoti e del Gruppo dei Cristiano Sociali che si opposero alla Dittatura Fascista. Al “Pretino” e’ dedicata una via a Quercianella, ma non a Castiglioncello.
Nella tragica esplosione risulta anche coinvolta la signora Livia Fornari, ma di lei purtroppo non si hanno ulteriori notizie in merito .

RINGRAZIAMENTI , DEDICHE ED UNA SPERANZA...
Ringrazio per la preziosa collaborazione morale, storica e bibliografica Giovanni Gambini, nipote di Don Italo;
Edda Lami, testimone diretta dell’accaduto e preziosa memoria storica di Castiglioncello .
Dedico questo racconto a mio Padre Aldo, che nella sua lunga vita mi aveva pochissimo accennato di questo fatto, salvo farlo con minute descrizioni poco prima di morire.
Lo dedico anche al mio giovane figlio Federico, perche’ porti anche lui dentro di se’ questo ricordo, con l’augurio per lui e per tutti i Giovani che non debbano piu’ vivere queste tragedie. E che la Democrazia e la Liberta’ non sono una concessione, ma un dono che ci hanno fatto i nostri genitori e nonni che dobbiamo mantenere e preservare con la massima attenzione.
Un desiderio di mio Padre era quello di apporre una lapide al muro del Castello Pasquini, vicino all’ex cancello su via Asmara in ricordo delle vittime. E’ anche una mia speranza, insieme alla proposta di intitolare a Don Italo Gambini il parcheggio delle ex scuole Elementari, in via Gorizia, vicino alla Chiesa di Castiglioncello.

La tomba nel cimitero di R.M.mo.
La targa ricordo in via Asmara e il parcheggio ex scuole davanti alla chiesa in via Gorizia intitolato a Don Gambini, inaugurati dal Sindaco Donati il 27 gennaio 2021

Il calcio anni '30

19 Agosto 1944
Curchill riceve un omaggio floreale dalla bambina Marta Fischer.

Il Cardinale Spellman dice messa

Militari hawaiani a Rosignano
(autorizzazione Damiano Bartoletti).

Truppe USA nel campo di calcio
(autorizzazione Damiano Bartoletti).

Il luogo dell'esplosione

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