Rosignano Marittimo  oggi

Il cippo in località Acquabona a ricordo del massacro dei Nocchi il 5 luglio 1944
(Foto G. Zanoboni)

  Sulla lapide: «Il 5 luglio 1944 in questi luoghi le truppe tedesche in ritirata compirono un vile massacro, fucilando quattro innocenti, dopo averli strappati alle loro famiglie:
Nocchi Napoli
(1881),
Nocchi Galliano
(1903, cugino di Napoli),
Nocchi Luigi
(1919, figlio di Napoli),
Nocchi Valtero
(1927, figlio di Galliano).
L’Amministrazione Comunale di Rosignano Marittimo ha apposto questa lapide in memoria del sacrificio della famiglia Nocchi e di tutti coloro, donne e uomini, grazie ai quali fu possibile riconquistare le libertà negate dal Fascismo»
 Questa la frase incisa sul cippo, che il 5 luglio 2006, alla presenza di autorità, familiari e conoscenti, è stato scoperto dal sindaco Alessandro Nenci, in memoria dei quattro membri della famiglia Nocchi barbaramente uccisi, proprio la mattina del 5 luglio, dalle truppe tedesche in ritirata. I 62 anni trascorsi dall’eccidio non hanno cancellato il dolore dei parenti e la commozione in tutti coloro che hanno presenziato alla cerimonia, semplice ma molto intensa.
 «Il nostro territorio - ha detto Nenci - ha pagato un tributo di sangue altissimo durante tutta la guerra ed in particolare al momento della ritirata delle truppe tedesche. L’eccidio della famiglia Nocchi, che oggi ricordiamo, va ad aggiungersi a numerosi altri episodi di violenza registrati sul territorio rosignanese. A loro abbiamo voluto tributare questo omaggio, nel giorno dell’anniversario, ponendo a testimonianza del tragico evento un cippo che, da oggi in poi, tutti possano vedere. In una sorta di mappa visiva, fatta di cippi ed immagini, che ci permettano di segnare il nostro territorio, in memoria di coloro che persero la vita e come monito per le generazioni future».
 Tanta la commozione, specie al momento in cui, con la tromba, è stato suonato “Il silenzio”. «Ringrazio l’Amministrazione comunale - ha detto Pierluigi Nocchi, testimone, , della tragedia ad appena 4 anni di età - a nome di tutti i familiari delle quattro vittime, tra cui anche mio padre e mio fratello. Fino ad oggi il nostro è stato un dolore privato. Con questo cippo, così ben visibile, è arrivato il momento, dopo 62 anni, di trasformare il dolore in monito. Non posso dimenticare - ha concluso - che questa tragedia ha segnato la vita di tutti i miei familiari e la mia stessa infanzia, trascorsa per lo più al cimitero, presso le tombe di mio padre e mio fratello». Tanta commozione negli occhi di tutti i presenti, ed in particolar modo dei familiari. Tra loro c’è stata anche chi, seppur bambina, rammenta bene e con sgomento quei giorni. Ricordiamo che il 4 luglio 1944, vista l’avanzata degli americani, i membri della famiglia Nocchi, allora residenti a Rosignano Marittimo, decisero di sfuggire ai tedeschi risalendo verso nord, dirigendosi cioè verso le cave in zona Acquabona di proprietà Solvay; ma all’altezza dell’attuale terrazza panoramica di via Gramsci, una truppa tedesco sparò sulla famiglia in fuga, il giovane Valtero si impaurì e perciò i capofamiglia scelsero come rifugio un casolare lungo la strada allora di proprietà del signor Vestrini. Erano in tutto 10 persone, tra le quali due bambine di nove e tre mesi, due bambini (tra i quali lo stesso Pierluigi di soli quattro anni), due donne e quattro uomini: Luigi di 25 anni tenente pilota, Napoli 63 anni controllore di tram, Valtero 27 anni e Galliano 41, entrambi dipendenti Solvay. La sera del 4 luglio fece irruzione nel casolare una squadra di SS naziste che portò via gran parte del cibo che la famiglia aveva con sé; il pericolo sembrò scampato fino al mattino seguente quando, un’altra squadra tedesca irruppe nel casolare con i fucili puntati, sorprendendo e terrorizzando la famiglia e portando via i quattro uomini inermi con il pretesto di fare un lavoro con loro. Gli altri rimangono nel rifugio fino al giorno dopo, quando vengono a sapere che i loro congiunti erano stati trucidati subito dopo il prelevamento. I corpi vengono rinvenuti lungo la strada dell'Acquabona a circa 200 m. dal rifugio. I miseri resti furono bruciati e le ceneri consegnate alle famiglie.  
RC (Da:"Il Tirreno del 6-7-2006)

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