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         Una descrizione 
      abbastanza precisa dell'opificio, è tratta dal lavoro di
      Branchetti e 
      Taddei i quali hanno raccolto le testimonianze orali di persone che, 
      negli anni '30 del Novecento, vi lavorarono 
      in qualità di giovani garzoni: 
		Mugnaio era il
      sig. Faucci
      Gaetano che lo conduceva in affitto insieme 
      al fratello Gino. Al mulino si arrivava con 
      una strada carrabile che scendeva dal paese. Una passerella in legno 
      (larga circa un metro) permetteva alle persone che portavano il carico, di 
      transitare sopra il Sanguigna; gli animali, invece, passavano 
      a guado vicino alla serra e ciò comportava un certo rischio 
      per la loro incolumità vista la vicinanza al salto
      di cascata. Entrando nel mulino si poteva 
      osservare un'iscrizione che ne ricordava 
      l'antica origine, al riguardo le testimonianze 
      sono discordi ed offuscate dal tempo; qualcuno addirittura sostiene di 
      avervi letto: 'Questo mulino
      nel 1600 era già  antico' 
      Al piano delle macine, posto sopra il locale degli ingranaggi, si accedeva 
      con una rampa di 4-5 scalini; qui erano collocate
      due coppie di 
      palmenti (con macine Fertè, rispettivamente 
      da 120 e 140 cm) e le relative tramogge 
      che venivano caricate dal mugnaio con l'ausilio di una scaletta mobile (in 
      legno). Dal suddetto piano alcuni scalini conducevano ad una porta
      dalla quale era 
      possibile uscire all'esterno del mulino 
      e raggiungere, grazie ad un'altra rampa di 
      scale, il muro della gora; qui, in un apposito 
      vano, era collocata una lunga chiave che serviva ai 
      avviare il getto dell'acqua attraverso una 
      valvola rapida. L'acqua veniva così 
      incanalata su un condotto a cielo aperto, 
      realizzato in muratura nel primo tratto, poi costituito da tavole di legno 
      sostenute da staffe di ferro infisse nel muro (ancora oggi visibili), in 
      tal modo l'acqua veniva fatta cadere sulla 
      ruota 'per di sopra'. 
      La ruota, larga 40 cm, era costruita in legno di quercia ed aveva un 
      diametro di circa 9 m; ogni cassetta poteva 
      contenere fino a 20l. di acqua ed alcuni raggi di ricambio erano 
      conservati in luogo idoneo, costantemente 
      umido, vale a dire sul fondo del borgonaio. Al piano terra del mulino, mosso 
      da una ritrecine, si trovava un altro palmento (con macina di pietra
      verrucana da 120 cm) nel quale veniva 
      lavorato il granturco ed altri semi per gli animali; ai palmenti 
      principali della grande ruota verticale si macinava invece soltanto grano.
      Mentre il piccolo mulino sottostante, in 
      quegli anni, risultava già abbandonato, l'opificio 
      più grande continuò a funzionare fino al 
      1946 (Testimonianze orali 
      rese dai sigg. Adelmo Faucci e Mario Malanima del Gabbro) 
		
       (Da: "Strade di pietra, vie d'acqua e di vento" di Giuseppe Milanesi e  
      Roberto Branchetti)  |