Gabbro oggi
La scuola materna S.Michele Arcangelo e convento delle suore Stimmatine

  Vicino alla Chiesa, in via delle Capanne n. 4 vi è il convento delle suore Stimmatine già villa del Canonico Cecconi di Livorno, il quale la fece adattare nel 1874 a convento con annessa una cappella pubblica dedicata a S. Francesco d'Assisi e ne fece dono alle stesse. Il convento fu solennemente inaugurato il 4 ottobre dello stesso anno da Mons. Brasini Vicario capitolare, alla presenza della Madre Generale e di moltissimi gabbrigiani. Cinque suore formarono la prima comunità religiosa. Fin da allora le suore operarono in vari campi. Da quello religioso a quello educativo e assistenziale. Insegnarono nelle scuole elementari e diressero l'asilo per i più piccoli che ancora oggi svolge attività. Tra le suore che hanno operato al Gabbro per lunghi anni, dopo il 1916, vanno ricordate principalmente Suor Scolastica che insegnò alle elementari, Suor Elena maestra di ricamo e Suor Paolina, ora ritornata al Gabbro, dopo una assenza di vari anni. Prima del 1945, era annessa al convento un'area coltivata a orto e giardino, ma le esigenze economiche costrinsero le suore a venderne una parte al Comune di Rosignano che lo utilizzò per impianti sportivi e per la costruzione di una scuola comunale, e una presella fu venduta a un paesano che vi costruì una palazzina. Negli anni '70 due ragazze del Gabbro, Vernaccini suor Regolina al secolo Paradisa e Puntilli suor Nazzarena al secolo Gina, entrarono a far parte della Congregazione delle Suore Stimmatine. Da:"Il mio paese Gabbro" di Jacopo Cadore Quochi 1979, scaricabile dal sito 
Nel 2006 dopo 132 anni di attività, l'asilo resta chiuso per difficoltà gestionali ed i 13 bambini vengono divisi fra Castelnuovo e Nibbiaia
, ma in paese si spera in un pronto ripristino.
                          
Le suore Stimmatine di Anna Fiorelli Lapini
Le Stimmatine nascono nel 1850 per opera di una giovane donna fiorentina: Anna Fiorelli Lapini che nasce a Firenze, nel rione di S. Croce, il 27 maggio 1809, da Giuseppe Fiorelli, uomo semplice e dedito al suo lavoro di barbiere e da Rosalinda Pecorai, donna dolce e discreta. Famiglia di modeste origini e condizioni, appartenente al ceto dei "senza casa e senza poderi", ma ricca di tanta fede e stima da parte di tutti. Anna è la quarta di undici figli, tutti cresciuti all'insegna di valori umani e cristiani inculcati loro dai genitori e dalla nonna. Il suo cammino non è semplice e lineare. Con gli anni diviene bella, simpatica e disponibile con tutti; tanto che questo suo fascino attira l'attenzione di un giovane, Giovanni Lapini, dirimpettaio della casa Fiorelli, alto, bello di persona, ma piuttosto scapestrato, che, a sua insaputa, la spia in ogni suo gesto. Il suo amore per lei diviene così profondo da spingerlo a parlarne con i suoi genitori e poi con quelli di Anna per chiederla in sposa. I Fiorelli, pur trovandosi in imbarazzo, come potevano rispondere di no ai propri vicini? Anna, pur vedendo crollare tutti i suoi sogni, dopo diversi tentennamenti, è costretta a sposarsi. Il 18 febbraio 1833 diviene la signora Lapini. Ben presto però Giovanni si ammala gravemente, peggiorando giorno dopo giorno, finchè nel marzo del 1842 muore e Anna si ritrova vedova. Trascorre la sua vedovanza nel lavoro, nella preghiera e nelle opere di carità. Per aderire alla vita religiosa, decise di trasferirsi in una casupola fuori la porta di S.Miniato, con poche suppellettili, neppure il necessario; non dove mai mancare il lume sempre acceso davanti l'immagine della Madonna. Comincia ad occuparsi delle bambine dei contadini durante il giorno, cercando di istruirle e fornire loro un'educazione semplice e ispirata ai principi cristiani. Le giornate si concludono con il rosario e altre preghiere, le domeniche e i giorni di festa erano dedicati al Signore… Ben presto la famiglia cresce: molte sono le giovani che, volendo consacrarsi a Dio, ma non potendo per la mancanza di dote, chiedono di essere accolte da Anna. E' allora che, in seguito ad un sogno in cui le appare san Giuseppe Calasanzio, decide di farsi coraggio e presentarsi per l'acquisto di un nuovo edificio più grande e più accogliente: la "Fantina", così chiamata dal nome dell'antico proprietario. In una sera d'agosto del 1846, Anna e le sue compagne vi si trasferiscono. Un luogo privilegiato che è tutt'ora il "Portico", un vecchio monastero vicino la Certosa di Firenze, così chiamato da tutti per l'ingresso caratteristico, dove vengono ad abitare nel 1852,quando la famiglia è davvero molto cresciuta. La nuova comunità è posta, per scelta di Anna, sotto la protezione della Madonna. Provvedono ai bambini che restano senza madre, danno conforto alle famiglie afflitte dal male. Gli anni continuano a trascorrere e Anna comincia a sentire che le forze vanno scemando e che dolori acuti le attanagliano il fisico debilitato dai tanti sforzi e dal poco tempo dedicato al riposo. I dolori in pochi mesi prendono il sopravvento, la costringono a stare a letto in quanto la rendono così debole da non riuscire neppure ad alzarsi. Sono tali le sofferenze da non riuscire ad affrontare la morte con serenità, le sembra che neppure la preghiera riesca a darle sollievo. La sera del 15 aprile 1860, verso le venti e trenta, Anna Lapini si spenge con lo sguardo rivolto verso un'immagine di S.Francesco. Innamorata della spiritualità francescana, diede alle sue suore il nome di “Povere Figlie delle Sacre Stimmate di San Francesco” ma il popolo le chiamò subito “STIMMATINE”. Anna Lapini, donna del popolo, si commisurava profondamente con i bisogni e le difficoltà che quotidianamente la interpellavano. La caratterizzava una disponibilità immediata una solidarietà concreta e una condivisione appassionata. In particolare la preoccupava la situazione della donna, priva di diritti, spesso analfabeta e ridotta in miseria. Dalla constatazione di questa realtà nasce e si concretizza il suo carisma, sotto la guida dello Spirito: accogliere le bambine povere e abbandonate, consentire cultura e dignità alle giovani, strappare la donna alla povertà materiale e morale, ricomporre le icone deturpate. “Andiamo, tocca a noi” era solita dire nei momenti di emergenza; la scelta delle priorità veniva sempre stabilita dalle situazioni di maggiore sofferenza.

 

                            
 

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