GIUSEPPE DANESIN

Ha abitato da sempre a Rosignano Solvay dove è nato il 21 maggio del 1942. Figlio di Sante Danesin, partigiano emigrato dal Veneto, uno dei primi amministratori del dopoguerra.
Dal 1969 al 1980 è assessore al Comune di Rosignano, in quegli anni ha legato la propria attività alla realizzazione del Palazzetto dello sport e di molte centinaia di autorizzazioni di EEP, all'inizio del recupero del Castello di Rosignano Marittimo, all'acquisto del Castello Pasquini, alla generalizzazione della scuola materna per tutti i bambini del Comune, alla realizzazione del tempo pieno per le frazioni collinari e della scuola integrata a Rosignano Solvay, Castiglioncello e Vada oltre alla realizzazione dei primi due asili nido a Vada e Rosignano Solvay.
Dal 1980-1990 è sindaco del Comune di Rosignano Marittimo. In dieci anni, che furono definiti gli "anni dei passi lunghi" le amministrazioni da lui presiedute hanno realizzato la prima metanizzazione d'Italia in polietilene, il depuratore di Rosignano Solvay, il riordino della rete fognaria con la chiusura dello scarico di Punta Righini e le depurazioni a Castelnuovo e Gabbro. Ha poi realizzato la discarica di Scapigliato con la chiusura di varie discariche frazionali fra le quali quella in bocca di Fine. Nel campo culturale ha prodotto il lancio internazionale del Castello Pasquini con i convegni dei fisici per il disarmo e quelli sui bambini (il Bambino tecnologico è il primo del 1982). In quegli anni fu anche concepito il Porto Turistico ed affrontato il complesso iter burocratico.
Dal 1990-1995 è stato assessore alla cultura della Provincia di Livorno. Si deve al suo serio impegno il completamento del Museo di Storia Naturale di Livorno con l'Orto Botanico del Mediterraneo e la Casa della Balena oltre al Centro Didattico.
Il 5 luglio 2002 è nominato presidente del consiglio di amministrazione dell'Istituto «Mascagni» di Livorno, fino al 4 luglio 2006, promuovendone la trasformazione da conservatorio in Università per la Musica e dotandola di una sede più che prestigiosa.
E' stato presidente dell’Associazione Ensemble di Micha van Hoecke a Castiglioncello. Amante della danza, del teatro così come della cucina, carattere schietto, genuino, politico di grandi passioni, a marzo 2016 si era sposato (in seconde nozze) con la compagna Marisa, che ha lasciato insieme alle figlie Valentina e Ilaria (avute dalla moglie Rosanna Innocenti deceduta nel 1983) il 22 luglio 2016 a 74 anni, in seguito all'aggravarsi delle condizioni di salute presso l'ospedale di Cecina dove era ricoverato.
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Da FORESTA BIANCA 2013
                                                        
Nomi e politica
Mi chiamo Giuseppe Danesin, e sono nato nel 1942. Mi chiamo così ma non come San Giuseppe, bensì come Iosif perché allora c’era da salvare la libertà e c’era un certo Stalin che, per chi si trovava sotto la dittatura fascista, era un faro di libertà e speranza. Nel 1927 era nata invece mia sorella più grande che si chiama Rosa, come Rosa Luxembourg, e nel 1929 l’altra, Luisa. Le rammento perché sono state molto importanti per me, praticamente il mio riferimento essendo tanto più grandi di me e per la mia storia. Sante, il mio babbo, era del 1901 e già nel 1918-20 aderì al Partito Socialista e nel ‘21 a quello Comunista, per cui subito dopo il ‘21 dovette subire gli attacchi dei fascisti. Lui era veneto, viveva a Sambughè, comune di Preganziol, a metà strada di quello che viene chiamato il Terraglio, la strada che unisce Venezia a Treviso. Nato in una famiglia di contadini, venne presto avviato a fare il falegname. Nel ’24-‘ 25 sotto la minaccia dei fascisti decise di espatriare, doveva andare in Francia, invece accadde una cosa strana: in quel periodo si costituirono cooperative per espatriati e ricordo che molti miei parenti andarono all’estero, anche in Brasile, altri invece, come le mie due zie che vivevano nel podere con mio padre, decisero di venire in Toscana, a Luciana, vicino a Pisa.
                                        Antifascismo di famiglia
Durante il fascismo la Solvay si era comprata un po’ di libertà perché aveva bisogno di manodopera specializzata, pagò per farlo come dimostrano i documenti dei pagamenti della Solvay alla Casa del Fascio di Roma, così lui stette per un po’ tranquillo ma con la crisi del ‘29 i primi licenziati furono i non iscritti al fascio e mio padre si trovò a guidare la famiglia senza lavoro con una bambina appena nata e una che stava nascendo, insieme a due sorelle di cui una con un figlio nato nel 1925. Non si sgomentò e mise in piedi una bottega di falegname, la prima di Rosignano, e siccome sapeva far di tutto – dai mobili agli infissi – riuscì ad avere lavoro perché Rosignano era un paese in costruzione.
Intanto cresceva l’attività antifascista di mio padre e di mio cugino Giovanni Zuffogrosso, facevano azioni come quella della notte prima del primo maggio: con tamponi di sughero fecero dei timbri e stamparono la falce e martello lungo tutti i muri della via Aurelia, i fascisti pensavano fosse stata la cellula di un’altra zona e invece anche a Rosignano c’era una cellula antifascista! Inoltre la mia zia Ida era diventata la donna di servizio della caserma dei carabinieri e passava informazioni a mio padre. Insomma la sua attività crebbe e nel settembre 1943 si diede alla macchia. Mia mamma, siccome non rivelò dove fosse mio babbo, fu arrestata e fu portata al carcere Don Bosco di Pisa, ma dopo qualche mese il carcere fu bombardato, loro scapparono e furono sfollate a Pomaia nelle campagne dove c’erano le cave dell’alabastro, lì le cannonate non arrivavano e lì vicino abitava un veneto che l’ospitò. Nel 1943, dopo che la situazione stava degradando, io e le mie sorelle fummo mandati in Veneto dai parenti. Bloccati dalla linea gotica fino all’aprile del ’45 non si tornò indietro subito e io ho vissuto la mia prima infanzia in Veneto. Quando sono arrivato qui ero un po’ spiantato: c’era la zia che chiamavo mamma Maria, mia madre invece si chiamava Iolanda e quando tornai non volevo riconoscere mia mamma perché avevo la mamma Maria e le mie sorelle. Una rimase con me dal fratello del mio babbo e l’altra andò dalla famiglia della sorella della mia mamma dove c’erano molte sorelle.
                                        Dalla Dacia al Comune
Io iniziai da piccolo a fare politica, a 8 o 9 anni già distribuivo l’Unità a casa, continuai, ad un certo punto fondammo un piccolo club da cui è passata tutta Rosignano chiamato la “Dacia”, due stanze molto carine che avevamo affittato e poi arredato. Lì nacque la consulta della gioventù, che era una esperienza politica avanzata perché c’era stata solo quella di Reggio Emilia, sindaco di Rosignano era Demiro Marchi aperto alle esperienze giovanili, io ero segretario della Federazione dei Giovani Comunisti, poi c’era Roberto Lucchesi del Partito Socialista, c’erano Carlo Rotelli e il fratello dei giovani democristiani. Erano i primi anni ’60, ci trovavamo e discutevamo di politica e di tante cose, da Papa Giovanni a Kennedy. Dopo di che diventai anche sindaco di Rosignano. Furono anni di grandi battaglie e di grandi cambiamenti.

                                    L’esperienza dell’insegnamento
Prima di entrare in politica sono stato maestro. Mi ricordo che quando ero piccolo mi piaceva molto andare al mare e quindi il mio sogno era quello di diventare marinaio. Poi un giorno mio cognato, che sulle navi ci aveva lavorato, mi disse: “Dalla barca il mare è sempre lontano. Non lo tocchi mai, nei porti c’è puzza e l’acqua che vedrai sarà sporca. Vuoi avere la possibilità di vedere e goderti il mare? Fai il maestro!” E così sono diventato maestro per davvero. Mi piaceva e poi erano gli anni in cui si cominciarono a intraprendere nuove vie all’insegnamento con materie sperimentali, teatro, archeologia, giornalismo e tanti nuovi laboratori d’arte. Esperienze avveniristiche per la scuola dell’epoca.
  Il sindaco Franchi dà l’ultimo saluto a Danesin con l’orazione funebre davanti al palazzo comunale.
Ma chi era veramente quest’uomo, questo Giuseppe Beppe Danesin che ieri mattina rappresentanti di istituzioni pubbliche e privati cittadini hanno voluto onorare commossi alle sue esequie? Un saggio sindaco? Un militante ortodosso del Pci o un appassionato della danza della scuola di Mudra? O un riformista che segue tutte le evoluzioni della casa madre fino al Pd? Certo un po’ tutte queste cose ed altre ancora, come accade alle personalità non iscrivibili nella banalità dell’ovvio, come appunto per lui. Tuttavia Giuseppe Danesin, che aveva il buon gusto di ricordare che i suoi gli avevano affibbiato quel nome in onore di Stalin quando il comunismo nel mondo viveva di quel mito, aveva assunto fin da giovane una caratteristica specifica del suo impegno civile: la cultura. E ne faceva un giusto riferimento il sindaco Alessandro Franchi quando ieri mattina citava l’amministrazione Danesin come quella del «decennio della grande crescita culturale e della partecipazione attiva». Sosteneva difatti Franchi: «Sono gli anni della Casa della cultura, dei consigli di quartiere, delle prime esperienze del comitato di gemellaggio; ma sono anche gli anni dell’acquisizione del castello Pasquini, centro propulsore della vita culturale e della spettacolazione». Sì questi sono meriti ‘storici’ che peraltro Danesin aveva conquistato sulla linea di una strategia di lungo periodo iniziata già dai suoi predecessori, Demiro Marchi e Leno Carmignoli. Tuttavia Giuseppe Danesin vi aveva inserito una sua particolare propensione verso i fenomeni artistici come un’occasione per la crescita anche delle proposte di ordine sociale e civile. E questo perché lo aveva sperimentato di persona, quando giovanissimo dirigente della federazione giovanile comunista aveva costruito esperienze di tipo artistico per i giovani del territorio insieme ad altri giovani che comunisti non erano. Un passo avanti tramite l’esperienza concreta dei fenomeni artistici per uscire dalle gabbie ideologiche e conquistare nuovi spazi di liberazione. E così, più tardi nel tempo, una mattina del ’93 il sindaco Danesin volle onorare col premio Ginori il grande attore Marcello Mastroianni, espressione del cinema italiano nel mondo, e pretese che non si facesse soltanto un’intervista al personaggio ma che inventassimo qualcosa dell’arte del teatro e del cinema. E così Matroianni fu premiato da Danesin anche con la recita di giovani attori della Bottega fiorentina di due scene tratte da “Le notti bianche”. E in questo senso va letto anche il suo impegno per l’Ensemble di van Hoecke e la danza contemporanea. Così la passione politica per uno come lui segnato fin dalla nascita in un canale prefigurato, quello della storia del Pci, aveva trovato nell’impegno verso l’arte l’occasione per non cristallizzarsi nei catechismi di maniera. Ed aveva così trovato l’energia per le innovazioni nel suo impegno pubblico e dunque giustamente ieri Franchi sottolineava come Beppe «da amministratore pubblico aveva segnato la strada, il cammino, l’orizzonte di un’intera comunità». (c.r.)

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