Gli ospiti di Castiglioncello  Cronache


Da "La Stampa" del 28-02-2003  di Aldo Cazzullo

SORDI.  Un addio italiano
Un funerale che ha il sapore di una grande festa

Strano funerale senza famigliari, nel primo banco riservato dal cerimoniale ai parenti tra la sorella Aurelia e la segretaria Annunziata c'è Francesco Rutelli, funerale senza singhiozzi, ma di commozione diffusa, nessuno è straziato nessuno è estraneo. Anche perché lui è stato tutti loro, vigili, politici, popolani, giornalisti, preti, e tutti in lui si sono riconosciuti. «Tu sei tu e noi nun seme...» è scritto sulla transenna che separa popolo e potenti in piazza San Giovanni. Il popolo arriva sin dall'alba, a centinaia riescono a entrare in chiesa, a sistemarsi in fondo. Il feretro di Sordi varca la soglia della basilica alle 9 e accende un applauso furioso, pianti, cori Alberto Alberto sotto i cassettoni lignei, scatti in piedi sulle sedie. I potenti arriveranno alle 10, c'è una transenna anche in chiesa, ma basta l'abbigliamento a delimitare i settori, politici e attori sono in cappotto, i popolani arrivati in moto nelle ore fredde sono avvolti in giacconi e portano berretti pesanti, che levano e appoggiano sul cuore al passaggio della bara. «Nun te posso vede' così, dentro 'sto legno» lacrima una signora anziana con le stampelle. Il coro e l'orchestra attendono. Incede con occhiali scuri Valeria Marini. Altri striscioni in romanesco, altra citazione dal Marchese del Grillo: «Sor marchese su basta co' 'sti scherzi, dai Albertone riarzete». E' in romanesco anche il poster stampato dal sindaco Veltroni, «Roma tua ti saluta», e in effetti stamattina la capitale rappresenta la sua fortissima identità, tanto forte che non esclude ma integra, fa sentire tutti un po' romani, inumidisce gli occhi anche di chi Sordi al cinema non l'ha mai visto o ne aveva quasi perso la memoria, piena la piazza di ragazzi, piena la chiesa di vecchi che si scambiano reminiscenze. Il film più recente di cui si parla tra i banchi - «Il tassinaro» - è di vent'anni fa, ed è proprio questo il suo prodigio, riuscire in un'operazione rara nei nostri tempi e dalle nostre parti, fissare una memoria, fermare qualcosa. Francesco Rosi: «Avevamo vent'anni, giravamo l'Italia in tournée, nei teatri». Gli ultimi ad arrivare, come prevede il protocollo, sono Carlo Azeglio Ciampi e Camillo Ruini. Il presidente della Repubblica e il capo dei vescovi italiani giungono insieme davanti al feretro, il cardinale pare magrissimo nella tonaca nera svolazzante, dà un'occhiata all'orologio, tutto è pronto, tre minuti dopo riappare solenne con la tiara e il bastone pastorale. Ciampi prende posto nel primo banco di destra accanto alla signora Franca, e poi Veltroni, Casini, Gianni Letta, i ministri Urbani e Gasparri, e ancora Tremaglia, Storace, il presidente della Provincia Moffa, è incredibile come riescano a starci tutti. I volontari della Croce rossa tirano su col naso. Musica sacra. Stefania Sandrelli. E' un rito molto italiano, come si conviene al personaggio, inimmaginabile per un attore di Hollywood: il trono e l'altare, i violinisti in nero e le fasce tricolori, i riflettori e i ceri, sacerdoti a decine nei loro paramenti viola assisi nell'abside; le divise, corazzieri, carabinieri, generali, dodici vigili urbani con i caschi e tutto; e ovviamente la tv, gli schermi addossati alle colonne e quello gigantesco sul sagrato a trasmettere la diretta Rai (non quella Mediaset condotta da Emilio Fede), le immagini della camera ardente, il sorriso di Sordi da vivo. «E' stato un grande amico dell'Italia e anche di Roma» dice Ruini e ha ragione, il dolore della città è qui, il rito è anche molto romano. Si prega per «il vescovo di Roma», che poi sarebbe anche Papa, e «per i cittadini di Roma, perché conservino la sincerità, la generosità, l'accoglienza che ha sempre contraddistinto la nostra città». Si scrivono striscioni: «Ieri un americano a Roma oggi un romano in cielo». Si levano cartelli in latino: «Romani te salutant». Si portano al colle sciarpe giallorosse. Sono le occasioni in cui Roma si sente capitale, pare diventarlo davvero, e avrà buon gioco Veltroni a scandire tra gli applausi senza opportunamente nominare il leghista Speroni che «solo degli sventurati e dei provinciali possono scambiare un'inflessione, un dialetto con una parzialità». Dalle lettera di San Paolo ai romani: «Sono convinto che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire potranno mai separarci dall'amore di Dio». I fotografi in bilico su due tribunette, da conquistare con arrampicate su scalette pericolanti. Ciocche di capelli azzurre, blu, gialle. L'on. Gabriella Carlucci, in nero, verso il fondo. Fuori, l'emozione assume toni secolari, celebrativi. Nel giro di poche ore si propone di intitolargli: il teatro Ariston di Sanremo; il teatro dell'Opera di Roma; la passeggiata a mare di Castiglioncello; quella di Rosignano; il nuovo liceo classico-scientifico di Cagliari; la cineteca nazionale. Nella piazza si levano altri cartelli: «Ti amo». Canto: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla/ Su pascoli erbosi mi fa riposare/ ad acque tranquille mi conduce». I gentiluomini del cerimoniale in giacca nera e cravatta rossa. Un ragazzo con barbetta e piercing labiale. Il segretario generale del Ouirinale Gaetano Gifuni. La banda Arbore: Renzo con Marisa Laurito; Luciano De Crescenzo è molto pallido, Giorgio Bracardi una maschera di cera. Ciampi scambia un segno di pace con Aurelia Sordi, identica ad Alberto, la bacia sulle guance. Tra la folla in piazza la signora è molto popolare, si intrecciano i racconti, quando andava a comprare il cocomero per il fratello al chiosco di piazzale Metronio, quando si affacciava alle finestre della villa di piazza Numa Pompilio, quando abitava ancora a Trastevere «e io da bambino tiravo i sassi contro le imposte di via delle Zoccolette per vedere la faccia di Alberto Sordi - ricorderà Carlo Verdone -, e la sora Aurelia si affacciava e mi faceva: a' regazzi', se nun te ne vai te gonfio». Ora a coprire il legno della bara ci sono due corone di fiori rossi e bianchi. Dal Vangelo secondo Matteo: «In quel tempo Gesù disse: il figlio dell'Uomo verrà nella gloria e saranno riunite tutte le genti davanti a lui; ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri». Fabrizio Frizzi, Barbara Palombelli, Ornella Muti. L'omelia di Ruini è costruita attorno alla rivendicazione della fede cristiana di Sordi. «Era cattolico», ricorda per due volte il cardinale, «quando morì Mastroianni disse che credeva nell'immortalità dell'anima», «aveva conservato la fede semplice ma solida assorbita dalla madre», e non era poco in un mondo di comunisti e di gaudenti come Cinecittà. «Di questa sapienza Alberto Sordi si è fidato, di questa sapienza invita a fidarci anche noi». Era cattolico e non si è limitato a smascherare i vizi degli uomini, ha indicato un possibile riscatto: «Il cuore dell'uomo è più fallace di ogni altra cosa e difficilmente guaribile, ma sino alla fine resta sempre imprevedibile e capace di aprirsi»; e «con questo cuore Sordi ha saputo immedesimarsi, gli ha offerto la sua faccia e la sua voce». Alla fine i fedeli applaudono a lungo il cardinale. Passa il presidente della Roma Sensi, molto applaudito anche lui. Il rito prosegue in forma laica ma non meno solenne sulla piazza, quella dei funerali di Togliatti e di Berlinguer, di Eduardo e di Moro (senza bara). Ostensione del feretro sul palcoscenico rosso. Urbani promette: sì, la cineteca nazionale sarà dedicata ad Alberto Sordi. Proietti legge un sonetto d'occasione. Scola enumera i suoi nemici quasi citando il Cyrano di Rostand: «I finti saggi, i falsi eroi, gli spacciatori di generosità, i birbaccioni come li chiamava lui». Parla Veltroni, che tra i politici italiani è quello che ha più pratica di cinema e di culto dei morti, e tiene un discorso davvero bello, sapientemente retorico, evocando i personaggi e i colleghi di Alberto, Guido Tersilli e Vittorio Gassman, Nando Monconi e Marcello Mastroianni, il soldato della Grande Guerra e Ugo Tognazzi -, rivendicando Sordi a Roma e all'umanità, e provocando ulteriori pianti. Un contestatore presto zittito dai vicini urla nel megafono: «Sindaco, occupati delle case sfitte!». Suore e frati. Daniela Poggi e Massimo Lopez. Se ancora servisse una chiave di identificazione, la porge Urbani: «Anche quando denunciava il malcostume non lo faceva con disprezzo, ma con rispetto. Non era come certi censori, mettendo in scena i mostri sapeva che purtroppo un pezzetto di loro è in ognuno di noi». La voce del ministro è sovrastata dal rombo di un aereo a noleggio, che passa a volo radente con la scritta «Stavorta c'hai fatto piagne». La folla applaude come a levarsi il magone dall'animo, ha pianto troppo in questi tre giorni, ci si leva anche giacconi e berretti, il sole è più caldo, si sente finalmente una musica profana, quella di «Storia di un italiano». Ridere a un funerale non è sempre peccato. L'ha detto anche il cardinal Ruini: «Per tantissimi Sordi è stato un amico simpatico, un compagno di viaggio. Ci ha tenuto allegri, ci ha aiutato a portare il fardello della vita». Se è stato davvero tutti loro, tutti noi, come a ogni altro funerale - ma a questo di più - è la propria morte che ognuno piange. IL SALUTO DI GIGI PROIETTI Io so sicuro che nun sei arrivato ancora da San Pietro in ginocchione, fra mezza strada te sarai fermato a guarda sta fiumana de persone. Te rendi conto sì ch'hai combinato questo è amore sincero, è commozione, rimprovero peiché te ne sei annata, rispetto vero tutto per Albertone. Starai dicenno: ma che state afa, ve vedo tutti tristi nel dolore e c'hai ragione, tutta la città. In cielo uno striscione in onore di Alberto Sordi: «Stavolta ci hai fatto piangere». Il Sindaco Veltroni «Sei stato il buonumore di questo paese per cinquant'anni ci hai tenuti uniti» Il ministro Urbani: «Hai preso in giro i nostri difetti, ma mai con disprezzo o condanna». Il cardinal Ruini «Era molto più di un simpatico amico, aveva una fede profonda e semplice assorbita dalla madre». Scola enumera i suoi nemici: «I finti saggi, i falsi eroi, gli spacciatori di generosità, birbaccioni come li chiamava lui». Il cardinale Ruini che ha officiato il rito sparge incenso sulla cassa coperta di rose. Gigi Proietti affranto, partecipa alla cerimonia seduto nei primi banchi, Carlo Verdone in chiesa col volto segnato dal dolore e dal pianto.

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